Lo scenario è piuttosto inquietante. La produzione industriale in calo vistoso, il sapore amaro della recessione. E poi le parole di Mario Draghi, un severo richiamo alle resposabilità dei governi dell’eurozona, specie quelli molto indebitati. Come dire che l’autunno si annuncia carico di incognite e non a caso il ministro dell’Economia, Padoan, sottolineava ieri all’assemblea dell’Abi che la vera sfida, quella che riassume tutte le altre, è la crescita economica. La crescita che non c’è.
È in questo clima che il Senato si avvia non senza fatica ad approvare la propria autoriforma, trasformandosi in organismo non più elettivo. Beninteso, non è ancora la fine dell’iter, trattandosi come è noto di una legge costituzionale, ma siamo alla vigilia di un notevole passo avanti. La commissione Affari Costituzionali ha trasmesso il testo all’aula al termine di un esame che a qualcuno è parso breve e frettoloso, ma che la presidente Anna Finocchiaro considera invece approfondito, tanto da consentire di correggere e migliorare la riforma.
Dal punto di vista psicologico si potrà dire già nei prossimi giorni, non appena l’assemblea di Palazzo Madama avrà deliberato, che l’Italia sta uscendo dal sistema bicamerale e si avvia a un nuovo modello in cui solo la Camera dei deputati esprimerà la fiducia al governo e in cui i processi legislativi saranno, si presume, molto più snelli.
Una questione psicologica, appunto, perché sotto il profilo istituzionale non cambia nulla e il cammino della riforma è ancora lungo. Maper il presidente del Consiglio la psicologia di massa è quasi tutto, per cui ieri sera ha riproposto la sua tesi della «rivoluzione» in marcia e dei tabù infranti. Renzi non ha torto, dal momento che la riforma del Senato, bella o brutta che sia, arriva dopo decenni di stasi, di promesse non realizzate, di sostanziale immobilismo. È un messaggio chiaro rivolto all’opinione pubblica, un messaggio rafforzato dall’enfasi abituale del premier. Conlo stesso slancio la riforma sarà presentata in Europa, a sottolineare che l’Italia si è messa in moto sulla via dei cambiamenti anche istituzionali.
Tuttavia Angela Merkel e la commissione di Bruxelles apprezzeranno la svolta solo a patto che il nuovo Senato svolga un ruolo funzionale alle vere riforme che interessano l’Unione: quelle volte ad abbattere il debito, a modernizzare il mercato del lavoro e la pubblica amministrazione. Altrimenti non avrebbero ragione di esultare per una «rivoluzione» che sarebbe solo un fatto interno italiano, una risposta della nuova classe politica all’ondata populista.
Sta di fatto che l’accordo con Forza Italia regge, salvo una quota di dissidenti presenti peraltro anche nel Pd. E regge anche – con qualche scricchiolio – l’intesa con la Lega. Calderoli ha giocato d’astuzia perché naturalmente nel mondo leghista non c’è entusiasmo per questa intesa a tre. Ma alla fine al Carroccio conviene essere leale in cambio di qualche compensazione. Ad esempio riguardo al regionalismo nella riforma del Titolo Quinto.
Sullo sfondo s’intravede già il terreno del nuovo confronto. Riguarderà la legge elettorale, su cui l’Ncd di Alfano avrà qualcosa da dire. E non sarà il solo. Certo, la riforma elettorale è cruciale perché deciderà tutti gli equilibri prossimi venturi. Se passerà – e da come passerà – capiremo quanto sarà lunga (o breve) la legislatura in corso.
Il Sole 24 Ore – 11 luglio 2014