Il malcontento delle forze dell’ordine è un segnale inquietante per il governo. Lo sarebbe per qualsiasi esecutivo che si trovasse a essere sfidato su un terreno al limite dell’eversione. D’altra parte, nella minaccia di sciopero c’è molta disperazione dei singoli agenti e anche parecchia incapacità, da parte dei vertici, di eliminare sprechi e disfunzioni negli apparati, tali da appesantire il conto economico a carico dello Stato senza che i cittadini si sentano più rassicurati.
Si suppone che nei prossimi giorni si troverà una soluzione. Non dovrebbe essere difficile con un po’ di buon senso. Qualcuno ha fatto ironia sulla frase del ministro dell’Interno che stigmatizzava, ma con molta cautela, i “toni eccessivi” usati dai sindacati. Eppure è evidente che si sta cercando una mediazione prima che sia troppo tardi. In realtà lo sciopero non è ammesso per le forze dell’ordine dalla legge e dai regolamenti. Il fatto che la componente smilitarizzata (quindi la Polizia di Stato, non i Carabinieri) lo stia ugualmente minacciando dice parecchio circa la gravità della situazione; al tempo stesso rende pressoché obbligato un accordo sul salario, derogando al blocco annunciato per gli stipendi del settore pubblico.
Ecco perché si è stabilito una specie di gioco delle parti fra Renzi che afferma di non voler essere “ricattato” e Alfano che tiene una linea più morbida. Per restare in tema si può dire che il primo si comporta come il poliziotto cattivo e il secondo fa il poliziotto buono. È plausibile che questa tattica produca il lieto fine, dal momento che nessuno sente il bisogno di far precipitare un conflitto con i corpi di polizia il cui prezzo sarebbe pagato dai cittadini più di quanto già oggi avviene. Tuttavia i risvolti politici della vicenda non vanno trascurati e appaiono sconcertanti.
Renzi parla di “cinque forze di polizia che sono troppe”, ma così facendo sembra confondere i piani. Che sono almeno tre. Il primo riguarda appunto le rivendicazioni economiche degli agenti, la cui frustrazione è un rischio che le istituzioni oggi non possono permettersi. Il secondo investe il riordino delle sedi, la guerra agli sprechi e in qualche caso il malfunzionamento delle strutture: i sindacati interni, il cui peso è cresciuto negli anni fino a rendere credibile un annuncio di sciopero, non saranno certo altrettanto solleciti quando si tratterà di risparmiare tagliando dove si può tagliare. Ma è proprio su questo terreno, non quello dei banali e ingiusti “tagli lineari”, che il governo Renzi dovrà mostrarsi determinato, piuttosto che nel punire in modo indiscriminato persone che guadagnano 1.200-1.500 euro al mese fra infinite difficoltà.
Il Sole 24 Ore – 6 settembre 2014