Se andando dal pescivendolo troverete che il salmone è più caro, la colpa potrebbe essere del pidocchio di mare, un parassita che colpisce soprattutto i pesci d’allevamento – e in misura ridotta anche quelli che vivono liberi – e sta riducendo la produzione complessiva di uno dei pesci più importati, e più amati, in Italia.
Il Nasdaq Salmon Index, la borsa valori dedicata, registra l’impennata dei prezzi. E anche se la spiegazione è legata non solo alla domanda in crescita dei mercati mondiali, ma al crollo di produzione di alcuni paesi, come il Cile, messo in ginocchio da un’alga tossica, certamente quello del pidocchio è un problema di non poco conto. Tanto che i norvegesi, principali produttori mondiali di salmone di acquacoltura, che al pidocchio imputano la perdita di circa il 5 per cento di produzione annua, stanno mettendo in campo ogni strategia possibile. Non solo farmaci, il cui utilizzo è comunque indispensabile. Ma metodi meccanici e persino l’uso di un piccolo pesciolino, il lumpsucker, che mangia letteralmente il pidocchio dalla pelle dei salmoni, dove si attacca.
«Stiamo investendo molto ammette Trym Eidem Gundersen, direttore in Italia del Norwegian Seafood – anche perché i costi per le perdite sono elevati e bisogna individuare interventi più efficaci per combattere il pidocchio naturalmente. In ogni caso da quest’anno la produzione sarà un po’ più alta».
Il problema dei parassiti riguarda però tutti gli allevamenti di animali che, in misura diversa, alterano l’ equilibrio biologico naturale. «Normalmente il parassita non ha alcun interesse a uccidere il proprio ospite ragiona Paolo Zucca, veterinario esperto in comportamento animale – ma tutto cambia se l’uomo modifica le regole del gioco. Se lo spazio non è più l’oceano, ma le gabbie, per quanto spaziose, si altera l’equilibrio. Inoltre la diffusione è favorita dalla minore variabilità genetica: i pesci allevati sono tutti uguali geneticamente, quindi il parassita trova terreno facile perché i suoi obiettivi sono uguali e tutti concentrati. E diventa anche più cattivo man mano che va avanti». Non bisogna quindi pensare ad un singolo intervento, ma a un insieme di strategie. «Nessuna soluzione è perfetta. Ma ci sono molte idee, alcune già provate. Intanto una selezione genetica per trovare animali più resistenti continua Zucca – poi una modifica della struttura delle gabbie con maglie più fitte nei primi metri di profondità per evitare l’ingresso delle larve. O il laser che uccide i pidocchi quando i salmoni vengono fatti passare in tunnel. Poi, appunto, i pesci pulitori come i lumpsucker o i bagni con acqua a temperatura o salinità differenziata. E non dimentichiamo che si ipotizza che il maggior impatto di parassiti sia legato ai cambiamenti climatici e ad acque più calde. Ogni allevamento, infatti, modifica inevitabilmente la scala ecologica. Dobbiamo farci i conti».
Nella lotta senza tregua ai pidocchi – che nel frattempo hanno sviluppato anche resistenza ai farmaci – entra in ballo anche la natura. «Per evitare un ricorso più massiccio ai farmaci si possono utilizzare prodotti di origine naturale ma farmacologicamente attivi – spiega Antonello Paparella, microbiologo dell’università di Teramo – come gli oli essenziali ottenuti da alcune piante aromatiche, per esempio origano e chiodi di garofano. O ancora gli idrolati, sottoprodotti della distillazione degli oli essenziali, che possono essere dispersi in acqua facilmente. Con un innegabile vantaggio: questi “farmaci naturali”, usati dalle piante per proteggersi da infezioni e parassiti, non sono mai entrati in contatto in natura con i parassiti che quindi difficilmente possono acquisire resistenza».
Repubblica – 25 gennaio 2017