Oltre alla guerra contabile, con tanto di minaccia di porre il veto al prossimo bilancio europeo, tra il governo e Bruxelles è esplosa la guerra di nervi. Tutti, da Luigi Di Maio a Matteo Salvini, passando perfino per il trattativista Giovanni Tria, dicono che l’Italia non cambierà la manovra economica bocciata dalla Commissione europea. Ma lo spread, salito ieri a 321 punti e la Borsa che continua a precipitare spaventano. Eccome.
Lo dice in chiaro Tria, pronto a riconoscere che «lo spread a 320 punti non può essere sostenuto troppo a lungo», in quanto crea «un problema al sistema bancario». Una tesi, quella del ministro dell’Economia, condivisa in chiaro dal sottosegretario alla Presidenza, Giancarlo Giorgetti («se ci sarà bisogno interverremo subito») e dal ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi. Tutti e tre molto attenti ai richiami del capo dello Stato, Sergio Mattarella, che martedì ha invitato a rispettare «le regole di bilancio per difendere i risparmi delle famiglie».
Ma anche Salvini, che oltre a litigare con Bruxelles non rinuncia a una stilettata contro il Quirinale («ascolteremo tutti, nessuno però ci farà tornare indietro»), teme lo spread. Tant’è, che il leader leghista ha parlato lunedì di «ruota di scorta». E Tria, senza però il via libera dei due vicepremier, ha cominciato a studiare una rimodulazione di quota 100 per andare in pensione: la misura che più spaventa la Commissione, in quanto giudicata il grimaldello più pericoloso per la tenuta dei conti pubblici. Come? Riducendo, a partire dagli statali, da quattro a due le finestre per andare in pensione il prossimo anno. Un intervento che potrebbe essere volto a ridurre la spesa per la riforma della legge Fornero il prossimo anno.
Questo possibile ritocco, come una eventuale rimodulazione del reddito di cittadinanza, non sarebbe inserito nella risposta alla Commissione attesa per metà novembre. Che sarà un sonoro no. Ma avverrebbe, se lo spread si assestasse intorno a quota 350, durante il percorso parlamentare della legge di bilancio. L’ha fatto capire martedì sera Moavero parlando davanti alla commissione parlamentare Esteri: «Le regole europee lasciano alla fine la parola sovrana sul bilancio ai parlamentari». E l’ha confermato ieri Tria che non esclude, appunto, modifiche «se si dovesse verificare una crisi come quella del 2008. Il Mef controlla ciò che accade ed è pronto a intervenire».
LA LETTERINA
Il problema è che Tria è ancora sotto il tiro incrociato di tutti i 5Stelle. E venerdì, dopo il downgranding di Moody’s, ha minacciato di dimettersi davanti all’indisponibilità di Salvini e Di Maio a ridurre il deficit. Dimissioni stoppate, ancora una volta, da Mattarella. Non solo. Il ministro ha parecchie cose da chiarire anche con la Commissione. Il ministro ieri ha denunciato: «Nella lettera di Bruxelles c’erano valutazioni superficiali, per esempio su alcune misure che non ci sono nella manovra». Tria non ha voluto dire quali sono. Ma al Mef si studia l’ipotesi di inviare una letterina a Bruxelles nei prossimi giorni per elencare «le incongruenze» e le «inesattezze» contenute nella missima di Bruxelles.
IL MESSAGGERO