Roberto Turno In fondo l’equivoco lo hanno consumato insieme col «Patto per la salute». Quella promessa di incrementare di 7 mld in due anni i fondi per la salute e di incatenare i possibili (possibili, anzi sicuri) risparmi dentro le mura del Servizio sanitario nazionale. Con la clausola che, in caso di necessità, lo Stato avrebbe potuto distoglierne una (imprecisata) parte. Salvo poi dover riscrivere-riaggiustare il «Patto» stesso. Esattamente quanto sta accadendo adesso, con l’Italia sotto il rischio di un nuovo shock finanziario e sotto schiaffo dalla Ue, anche se Renzi non lo ammette.
Peccato che quell’accordo tutt’e due le parti sapevano che era scritto sull’acqua. Tanto improbabile che potesse essere rispettato, quanto impossibile che lo Stato rinunciasse a usare il bancomat dei fondi per la sanità per far quadrare, almeno in parte, i conti pubblici. E tanto è stato grande l’equivoco, che perfino con il Ddl di Stabilità il Governo non rinuncia adesso a confermare l’impegno di onorare sia l’entita del Fondo sanitario per i prossimi 2 anni (227 mld che salgono a 337 includendo il 2014), sia di accettare che i risparmi restino in casa del Ssn per quegli investimenti ormai ineludibili per salvaguardare («ammodernare», si dice) la tenuta del servizio pubblico. Peccato che con la manovra 2015 il Governo non dica chiaro e tondo, senza sbavature nominalistiche, che il taglio alla sanità ci dovrà essere e dove e come andrà applicato, lasciando invece la patata bollente alle regioni. Mentre servono regole nazionali valide per tutti, non il pericolo di tagli lineari che lascerebbero tutti scontenti: le regioni che i compiti a casa (i risparmi, il riassetto) li hanno fatti almeno in parte, e quelle che cercano con difficoltà di copiare dal vicino di banco e che restano sempre pericolosamente indietro. Col risultato per i cittadini e le imprese di dover pagare supertasse e superticket. E di avere servizi più scadenti.
No, troppe cose continuano a non tornare in questa politica sanitaria mordi e fuggi, dove a pagare sono i contribuenti onesti e gli operatori che fanno la loro parte. Non è questo che serve per fare chiarezza, non si possono invocare “siringhe uguali per tutti” e poi evitare di dire che la spending è ancora un sogno e che la qualità va premiata. Ma non si può certo dire che gli sprechi in sanità siano un’idiozia renziana. Anzi. L’idiozia è il frutto perverso dell’ignoranza. O, peggio, di chi non vuol vedere oltre il proprio interesse.
Il Sole 24 Ore – 17 ottobre 2014