Da Milano a Roma la classe dirigente attuale rincorre personaggi che sono estranei agli schieramenti tradizionali. È una dichiarazione di impotenza. Il centrodestra e il centrosinistra non riescono a fronteggiare l’ondata di sfiducia che è montata
di Antonio Polito. Dal carisma al curriculum, dal popolo al fatturato. Il commissariamento della politica sembra essere il futuro delle grandi città italiane. Privi di una classe dirigente locale all’altezza, i partiti cercano manager per Milano e Roma. Giuseppe Sala, Alfio Marchini, Paolo Scaroni, Corrado Passera:
non troverete un politico di primo piano tra i nomi più gettonati del momento. E le primarie fanno paura proprio perché rischiano di catapultare sulla sedia di sindaco un politico di secondo piano, con gli effetti stupefacenti già osservati nel caso Marino.
Non è solo una tendenza dei partiti tradizionali. Perfino i Cinque Stelle sembrano alla ricerca di un Papa straniero: dicono che Casaleggio se ne sia convinto quando ha assistito in tv alla povera performance dei quattro tenori grillini di Roma.
È una dichiarazione di impotenza della politica democratica. La quale, in teoria, dovrebbe essere non solo gestione ma anche organizzazione del consenso, idealità, sistema di valori, selezione di classe dirigente. Tutta merce che i partiti non sembrano più in grado di offrire. In fondo è una rivincita del primo berlusconismo, quello del kit del candidato e della mentina: via i «professionisti della politica» dalla gestione della cosa pubblica.
Ma la nouvelle vague sta conquistando a sorpresa anche il PdR (il partito di Renzi), che pure si era presentato sulla scena annunciando il ritorno della politica nella cabina di regia. Un tempo spettava al dirigente di maggior peso candidarsi a sindaco nella sua città: fu il caso di Bassolino a Napoli, di Rutelli (e di Fini) a Roma, di Cacciari a Venezia, di Chiamparino a Torino; oggi nessuno penserebbe di candidare Orfini al Campidoglio, e d’altra parte di candidarsi a Milano Salvini non ci pensa proprio. Gli unici politici rimasti nelle città sono quelli di ritorno, a fine carriera, da Fassino a Torino, a Bianco e Orlando in Sicilia, fino al possibile bis di Bassolino a Napoli. È un vero e proprio divorzio tra le città e la politica dei partiti.
Cinque anni fa un’analoga crisi produsse primarie a sorpresa, che imposero gente nuova, uomini più radicali e meno compromessi con il passato, talvolta veri e propri populisti. Alcuni hanno fallito come a Roma e a Genova, altri esperimenti sono riusciti ma si sono dimostrati non ripetibili come Pisapia a Milano, altri ancora si sono sciolti nel movimento, come de Magistris a Napoli. Non a caso il pur ex sindaco di Firenze, Matteo Renzi, ha affrontato da Palazzo Chigi questo declino della democrazia dei sindaci con il «modello Expo». Il commissariamento di Roma con il prefetto di Milano, che passa direttamente dalla gestione della fiera alla gestione della capitale, dove troverà già commissariato il Giubileo, ne è l’emblema più perfetto. La nomina di Sala, commissario dell’Expo, a candidato sindaco del Pd per le prossime elezioni di Milano, ne può tra breve essere il completamento. E a Napoli quasi un terzo della città, l’enorme area di Bagnoli, è stata affidata a un commissario governativo, tra gli strepiti del sindaco che grida all’usurpazione.
Questa nuova formula di governo locale si appella a criteri di efficienza e rapidità, punta a semplificare le procedure della politica, dimette un sindaco eletto nell’ufficio di un notaio piuttosto che in Consiglio comunale, prescinde dall’appartenenza politica dei prescelti (Sala e Marchini sono votabili sia a destra che a sinistra). Ma è una formula che ha sempre bisogno di un Grande Progetto, un Grande Evento, un Giubileo o una Expo, un’azione parallela che consenta di riversare soldi pubblici su amministrazioni pubbliche altrimenti esangui. Perché il primo grande cambiamento che è avvenuto nella politica locale è proprio questo: quando vent’anni fa cominciò la stagione dei primi cittadini eletti direttamente dal popolo i Comuni erano pieni di soldi, e di conseguenza i sindaci erano pieni di voti anche dopo il primo mandato. Ora nei Comuni non c’è più una lira, e i sindaci diventano rapidamente impopolari.
Così è esplosa l’antipolitica. E ora la politica non sembra avere più le forze a livello locale per fronteggiarla in prima persona. Si è fatta troppo leaderistica, troppo affaristica, con partiti troppo leggeri, quasi inesistenti sul territorio, per produrre sindaci di valore in proprio. La terza via che si sta profilando è quella che Alfio Marchini chiama la «soluzione del civismo: uomini di buona volontà sorretti dalla politica per battere l’antipolitica». Stelle locali contro Cinque Stelle. Funzionerà?
Il Corriere della Sera – 2 novembre 2015