Il Sole 24 Ore. Il governo Meloni, dopo una gestazione di diversi mesi, prova a mettere in campo un’ambiziosa strategia sul lavoro. Da un lato, punta ad aumentare un po’ le buste paga dei lavoratori con redditi medio-bassi (fino a 35mila euro) con un’ulteriore operazione di riduzione del cuneo fiscale-contributivo con i 3-3,5 miliardi previsti dal Def. Dall’altro lato, supera definitivamente Reddito di cittadinanza, Decreto dignità, e in parte Decreto Trasparenza, provando a rilanciare politiche attive e formazione per dare stimoli agli oltre due milioni di disoccupati e ai più di tre milioni di Neet sotto i 35 anni, e anche a rilanciare contratti a termine e semplificazioni normative per ridurre i vincoli sulle imprese in questa fase economica incerta. Tutto ciò entrerà in un pacchetto Lavoro atteso sul tavolo del consiglio dei ministri il 1° maggio. Vediamolo nel dettaglio.
Cuneo, 4 punti in meno
Con il rabbocco di nuovi 3-3,5 miliardi l’esecutivo continua a rafforzare il taglio ai contributi, solo lato lavoratori, iniziato con Mario Draghi (in Italia il cuneo fiscale-contributivo ha raggiunto livelli monstre, siamo al 46,5%, ultimo dato Ocse, sfioriamo il 50%, se aggiungiamo oneri e contributi sociali, siamo al 60% se facciamo riferimento alla massa salariale). La novità scatterebbe in vigore da maggio a dicembre di quest’anno. L’ipotesi più accreditata allo studio prevede il rafforzamento dell’attuale normativa in vigore nel 2023. E quindi: per le retribuzioni fino a 25mila euro il taglio al cuneo salirebbe dagli attuali 3 a 4 punti, per le retribuzioni da 25 a 35mila si passerebbe da 2 a 4 punti di sforbiciata. Per quest’ultima fascia di reddito il vantaggio, di fatto, raddoppia. Per le retribuzioni fino a 25mila euro cresce di un 30-35%.
Come cambia il Reddito
Il secondo piatto forte del pacchetto Lavoro è la fine del Reddito di cittadinanza, destinato a esaurirsi il 31 dicembre (o dopo sette mesi di fruizione, come previsto dalla manovra 2023). Al suo posto arriveranno tre strumenti. Il primo è la Garanzia per l’inclusione (Gil) che verrà riconosciuta ai nuclei familiari al cui interno vi sia almeno un componente con disabilità, un minore, un soggetto con almeno 60 anni di età o una persona a cui è stata riconosciuta una patologia che dà luogo all’assegno per l’invalidità civile anche temporaneo. Il beneficio economico, erogato attraverso la Carta di Inclusione, è fino a 6mila euro l’anno, vale a dire 500 euro al mese (moltiplicato per il parametro della nuova scala di equivalenza). Il sussidio è integrato fino a 3.360 euro (280 euro al mese) come contributo affitto per i nuclei residenti in abitazioni concesse in locazione. Il sostegno monetario è erogato mensilmente per 18 mesi, e può essere rinnovato, dopo lo stop di un mese, per ulteriori 12 mesi. Nel 2024 il nuovo sussidio interesserà una platea di 709mila nuclei per una spesa annua di 5,3 miliardi.
Il secondo intervento è la Prestazione di accompagnamento al lavoro (Pal) che andrà a coloro che, al momento della scadenza dei sette mesi di Rdc, hanno sottoscritto un patto per il lavoro e sono inseriti in misure di politica attiva. Il sussidio, che si può richiedere dal 1° settembre, è pari a 350 euro al mese. La bozza di relazione tecnica stima che Pal interesserà 213mila persone, appartenenti a 154mila nuclei, per un numero medio di mesi pari a 3,7, per una spesa totale di 276 milioni.
Il terzo intervento è la Garanzia per l’attivazione lavorativa (Gal) per le persone tra i 18 e i 59 anni in condizione di povertà assoluta, con un valore Isee non superiore a 6mila euro (che fanno parte di nuclei che non hanno i requisiti per accedere a Gil). La misura è istituita a decorrere da gennaio 2024 e può essere riconosciuta fino a due persone. Il beneficio economico è pari a 350 euro al mese per 12 mesi, senza possibilità di rinnovo. Per il secondo richiedente l’importo si dimezza a 175 euro al mese. Nel 2024 si stima che saranno interessati 426mila nuclei (per una spesa di 2 miliardi).
Semplificazioni in arrivo
Nella bozza di norme allo studio del governo si smontano poi Decreto Dignità e, in parte, Decreto Trasparenza. Sui contratti a termine si sancisce l’addio alle rigide causali legali, optando per un ampio rinvio alla contrattazione. In sintesi: fino a 12 mesi i datori possono continuare a stipulare contratti a tempo determinato “liberi”, senza dover indicare la causale. Da 12 fino a 24 mesi si possono utilizzare questi nuovi 3 motivi, più accessibili: specifiche esigenze previste dai contratti collettivi (articolo 51 del Dlgs 81 del 2015); specifiche esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti in assenza di previsioni contrattuali, previa certificazione delle stesse presso una commissione di certificazione; esigenze di sostituzione di altri lavoratori.
Con le nuove regole arriva anche una prima semplificazione del decreto Trasparenza in vigore da agosto. In particolare, per tutta una serie di informazioni, durata del periodo di prova, congedo per ferie, importo iniziale della retribuzione, programmazione dell’orario normale di lavoro, solo per fare qualche esempio, il datore di lavoro assolve all’obbligo informativo con l’indicazione del riferimento normativo o della contrattazione, anche aziendale, che disciplina queste materie. Insomma, non si dovranno più consegnare pile di documenti. Sempre per sburocratizzare, si prevede poi che l’azienda è tenuta a consegnare o a mettere a disposizione del personale, anche mediante pubblicazione sui siti web, contratti collettivi ed eventuali regolamenti aziendali applicabili al rapporto di lavoro.