Il decreto sul nuovo redditometro è illegittimo e quindi deve essere disapplicato. Ad affermarlo è la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, seconda sezione (Presidente e relatore Crotti), con la sentenza n. 74.02.13 depositata ieri. I giudici emiliani hanno così disapplicato il provvedimento con cui è stato definito il contenuto induttivo degli elementi di capacità contributiva (Dm 65648 del 24 dicembre 2012). In realtà, questa innovativa pronuncia fa seguito ad un’altra (sentenza Ctp Reggio Emilia n. 172/01/ 2012), con cui la stessa sezione aveva avuto modo di precisare che, se più favorevole al contribuente, il nuovo redditometro trovava applicazione anche prima del periodo di imposta 2009, così come già avviene per gli studi di settore più evoluti. La risposta dell’Agenzia delle Entrate in difesa del redditometro
La controversia trae origine dall’impugnazione di due avvisi di accertamento emessi per gli anni di imposta 2007 e 2008 sulla base del vecchio redditometro. La Ctp ha innanzitutto precisato che la revisione dell’accertamento sintetico, operata con il Dl 78/2010, rappresenta un intervento di natura procedimentale e non sostanziale dal momento che non introduce nuove fattispecie impositive. Ne consegue, dunque, che il contribuente può sostenere l’applicazione retroattiva delle nuove disposizioni, se più favorevoli, anche per le annualità precedenti al 2009.
Ma i giudici emiliani vanno oltre. Recependo, infatti, in pieno l’ordinanza del Tribunale di Napoli (Sezione civile distaccata di Pozzuoli) del 21 febbraio 2013, ritengono illegittimo e radicalmente nullo il decreto ministeriale del 24 dicembre scorso.
Ciò perché il nuovo redditometro sarebbe stato emanato del tutto al di fuori del perimetro disegnato dalla normativa primaria e dei suoi presupposti e al di fuori della legalità costituzionale e comunitaria. Il decreto, infatti, prende in considerazione le spese medie delle famiglie, così come stimate dal l’Istat, anche se invece la norma che disciplina l’accertamento sintetico (articolo 38 del Dpr 600/73) fa riferimento al singolo contribuente.
Inoltre il provvedimento, prevedendo la raccolta di tutte le spese effettuate (tra cui anche quelle farmaceutiche e per eventuali iscrizioni ad associazioni culturali) priva il contribuente del diritto ad avere una vita privata, in violazione di quanto sancito dalla Costituzione (articoli 2 e 13) e dalla Carta dei diritti fondamentali della Ue (articoli 1, 7 e 8). Infine, il Dm viola il diritto alla difesa (articolo 24 della Costituzione e articolo 38 del Dpr 600/73) in quanto rende impossibile fornire la prova di aver speso di meno rispetto a quanto risulta dalle medie Istat. Infatti, pur volendo prevedere una “grottesca” conservazione di tutti gli scontrini e un’altrettanto grottesca analitica contabilità domestica da parte del contribuente, è chiaro che tale documentazione non dimostrerebbe che non è stata sopportata una spesa maggiore (almeno pari a quella desumibile dalle medie Istat).
Si giunge così, secondo i giudici emiliani, all’irragionevole ricostruzione di spese artificialmente imposte dal Ministero delle Finanze che ha emanato il Decreto. Viene infine dato risalto anche alla superficialità, ai fini dell’attribuzione del reddito presunto, della localizzazione territoriale del contribuente e del proprio nucleo familiare, atteso che non vi è alcuna precisa differenziazione tra la grande metropoli ed il piccolo centro
Violate le garanzie a difesa del contribuente
La decisione della Ctp di Reggio Emilia afferma, in sintesi, due importanti princìpi strettamente connessi che fanno concludere per la disapplicazione del Dm sul “nuovo redditometro”, ritenuto illegittimo.
Il primo riguarda la successione dei decreti sul redditometro, prima e dopo il Dl 78/10. La Ctp aveva già affermato l’applicazione anche a vicende passate (in vigenza del precedente decreto), del nuovo redditometro, sulla falsariga degli altri casi di accertamenti standardizzati.
Si fa inizialmente riferimento a un favor rei che potrebbe essere discutibile o, quantomeno, andrebbe dimostrato in concreto: non è detto che a priori le nuove norme siano più favorevoli delle precedenti.
In realtà, come la pronuncia evidenzia, probabilmente, più che di un favor rei, c’è la semplice e logica necessità, affermata varie volte dalla giurisprudenza di legittimità, che utilizzando procedure statistiche standardizzate, il buon senso, ancor prima del diritto, imporrebbe, l’applicazione di quelle più recenti, precise e raffinate. In altre parole, se l’amministrazione è stata in grado di elaborare negli anni strumenti più adeguati e attendibili di quantificazione presuntiva del reddito, mal si comprende perché per i periodi di imposta precedenti il contribuente debba subire calcoli statistici meno raffinati e più approssimativi, come ammette la stessa amministrazione.
La Ctp fa quindi riferimento a una “revisione” dell’accertamento sintetico, operata con il Dl 78/10, quasi a sottolineare che il precedente decreto deve intendersi superato. Su tale presupposto viene così affermato il secondo principio, basato in toto sulla sentenza del Tribunale di Napoli: il nuovo decreto è illegittimo perché viola una serie di garanzie e tutele del contribuente costituzionalmente garantite.
Di qui l’applicazione dell’articolo 7 del Dlgs 546/92 che, al comma 5, prevede tra i poteri delle commissioni tributarie, se ritengono illegittimo un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione, di non applicarlo in relazione all’oggetto dedotto in giudizio.
È desumibile dalla conclusione della sentenza che la Ctp ritiene ormai superato il precedente decreto sul redditometro ed esistente solo quello nuovo “revisionato”. Altrimenti, disapplicando quest’ultimo, avrebbe dovuto applicare il precedente e giudicare di conseguenza.
Aldilà della condivisione, o meno, del contenuto della sentenza della Ctp di Reggio Emilia e quindi di quella del Tribunale di Napoli, resta il fatto che forse una nuova e più approfondita riflessione sul contenuto del decreto andrebbe operata. O quantomeno sarebbero necessari concreti segnali dell’agenzia delle Entrate sulle modalità applicative del redditometro che, in sede locale, continuano quasi sempre a essere rigorosamente legate allo strumento statistico, senza possibilità di fornire alcuna giustificazione.
In caso contrario, così perseverando, vi è il concreto rischio che altri giudici giungano, in futuro, alle medesime conclusioni della Ctp di Reggio Emilia. Con tutte le evidenti conseguenze del caso anche sotto il profilo della proficuità e dell’utilità dell’attività di accertamento.
Il Soler 24 Ore – 19 aprile 2013