Angela Pederiva. Gazzettino. Dal 1° marzo Massimo Annicchiarico è il direttore generale della Sanità. Un settore che, fra le varie matasse da sbrogliare, si ritrova anche il nodo della grave carenza di camici bianchi nella sanità territoriale: secondo l’ultima ricognizione della Regione, nel 2023 il Veneto conta 1.513 “caselle” da riempire, fra zone carenti dei medici di base (784) e dei pediatri di libera scelta (35), nonché incarichi vacanti delle guardie mediche (635) e dell’emergenza 118-Suem (59). Premette il dg: «Non si tratta di mancata attuazione di procedure, né di indisponibilità a percorrere tutte le strade per cercare di raggiungere livelli adeguati. È un problema nazionale, che in questo momento vede ridursi alcuni divari fra Nord e Sud che in passato erano più marcati».
In che termini?
«Osserviamo i dati sulla media regionale degli assistiti per medico di medicina generale, ovviamente senza che questo costituisca una graduatoria di merito. L’Alto Adige ne ha 1.454 e il Veneto 1.270. Ma la Calabria, che prima della pandemia ne aveva 1.055, adesso è balzata a 1.423. Lo dico per dare la dimensione di un problema strutturale che non riguarda più le aree geografiche, ma che trasversalmente attraversa la medicina generale come ambito di lavoro non più appetibile, dal quale si rifugge anche per motivi anagrafici».
Della serie: mal comune, mezzo gaudio?
«Certamente no. Non intendiamo né negare il problema, né generalizzarlo, ma affrontarlo sia con strumenti nel breve periodo, come l’aumento delle borse di studio e l’espletamento delle procedure di reclutamento, sia con misure a medio e lungo termine. Una cosa è guardare alla medicina generale come all’ambulatorio del singolo professionista che deve gestire da solo fino a 1.800 pazienti. Un’altra è pensare ad una riforma che, fatta salva la prossimità nelle zone periferiche, si concretizza in una medicina integrata, in grado di fornire sul territorio risposte più complesse».
Andiamo con ordine. Le soluzioni attualmente praticate per tamponare le falle sono l’aumento del massimale fino a 1.800 assistiti, la formazione-lavoro dei corsisti con incarichi temporanei fino a 1.000 pazienti e provvisori fino a 1.500, la disponibilità dei pensionandi a restare in servizio fino a 72 anni. Ragionevolmente, quali risultati ci si può aspettare nei prossimi mesi?
«Se consideriamo il numero dei medici di base reclutabili in quanto già formati, più quello dei giovani che stanno attualmente svolgendo il corso, pensiamo che in buona parte i “buchi” possano essere colmati. A fine 2022 erano infatti 607 gli iscritti alla graduatoria e fra meno di un anno potremo contare su una platea di 900 borsisti. Il problema è che non tutti scelgono di restare: nell’ultima procedura, solamente 324 hanno accettato il posto. Per questo dobbiamo rendere più attrattiva la medicina generale, nella convinzione che sempre più comprenderà prestazioni di primo livello al paziente, ma anche consulenze sociosanitarie alla famiglia».
Quindi avanti con le medicine di gruppo integrate?
«Sì. Ma anche con le possibilità offerte dal dm 77 (il decreto ministeriale sulla sanità territoriale, ndr.), come l’integrazione con le altre figure professionali nell’assistenza domiciliare e nella prevenzione secondaria e terziaria. Parliamo di case di comunità, infermieri di famiglia, telemedicina che non deve certo sostituire il contatto con il professionista, ma può integrarsi con lui in maniera efficace e virtuosa. Oltretutto semplificando la vita al cittadino che si trova in situazioni di non autosufficienza o di lontananza geografica, oppure che semplicemente vuole conciliare meglio i tempi di cura con le esigenze di vita: pensiamo solo a come i dispositivi hanno cambiata in meglio la quotidianità delle persone diabetiche. Insomma si tratta di vedere un problema, che viene da lontano, come un’opportunità per modificare i modelli di assistenza sul territorio. L’assessore Manuela Lanzarin ha avviato interlocuzioni sindacali che stanno proseguendo con alcune organizzazioni e che si sono interrotte con altre. Fimmg ha revocato lo stato di agitazione, Smi e Snami hanno proclamato lo sciopero. In attesa di riprendere le trattative, noi continuiamo a preparare la nostra piattaforma per la medicina generale».
Con quali tempi?
«Il piano nelle sue linee di indirizzo è già pronto. Ma non vogliamo andare avanti da soli, bensì nel modo più condiviso possibile: dobbiamo concretizzare cambiamenti incisivi, perché non c’è più tempo per discussioni che non portano a risultato. Per la ripresa del confronto sindacale, credo si tratterà di qualche settimana. Del resto non dobbiamo aspettare le milestone del Pnrr (le scadenze del Piano nazionale di ripresa e resilienza, ndr.): il Veneto è in condizione di avviare processi anticipatori rispetto alle altre Regioni. La cosa importante è che firmiamo accordi».
Ma come la mettiamo con il contratto della categoria?
«Nell’ultimo accordo collettivo nazionale, che deve essere rinnovato, è stato inserito il ruolo unico che integra le funzioni del medico di assistenza primaria e di continuità assistenziale. Questa innovazione va trasferita nella pratica: un ambulatorio di gruppo che prima faceva fatica a stare aperto 7 ore, come previsto dal precedente testo, ora può garantire aperture ampie anche nelle zone dove i medici di medicina generale non sono numerosi. È solo un esempio di come deve cambiare il modello, per reggere i numeri della carenza di professionisti e pure le esigenze cliniche di cronicizzazione e di non autosufficienza. Dopodiché vorrei aggiungere un altro aspetto, anche se forse aprirò un nuovo fronte…».
Quale?
«Dalla medicina generale abbiamo prestazioni di grande complessità, ma a volte anche prestazioni di carattere genericamente sanitario, e non strettamente medico, che potrebbero essere rese dalle farmacie, così come avviene con le vaccinazioni e con i tamponi. Lo dico con tutta la delicatezza possibile, perché vorrei vedere integrazione e non conflittualità professionale, nella consapevolezza che i cittadini hanno un grande rapporto di fiducia sia con il proprio medico, sia con il farmacista di riferimento».
A quali attività allude?
«Per esempio alla somministrazione di farmaci sotto prescrizione medica, alle prenotazioni, al telemonitoraggio di determinati parametri, naturalmente da parte di personale formato com’è accaduto durante il Covid. Anche questo può essere un tassello del mosaico complessivo con cui contiamo di dare ai medici di medicina generale un motivo per accettare il lavoro nella sanità territoriale».
Oltre alla carenza dei medici di base, ci sarebbero anche le liste d’attesa fra le “rogne” del suo mandato.
«Preferisco chiamarli i miei due principali impegni, perché sono i temi che mi hanno occupato e a cui mi sono interessato di più in quarant’anni di professione. Ma delle liste d’attesa parliamo la prossima volta…».