Era previsto, ma sta accadendo persino in anticipo rispetto alle attese. La questione del ” Monti -bis”, cioè della guida a cui affidare il primo governo della prossima legislatura è già al centro del dibattito e delle polemiche. Non ci vuole molta fantasia per immaginare che sarà il tema chiave della campagna elettorale.
Diciamo meglio: la campagna è già cominciata, sarà lunga e turbolenta, ma ha già trovato il suo motivo conduttore: resterà o no Mario Monti a Palazzo Chigi? Tutti e tre i leader dei maggiori partiti si sono espressi al riguardo, da Bersani a Reggio Emilia ad Alfano al Casini che ha chiuso la festa dell’Udc. Ma siamo solo all’inizio. Bersani “pronto a governare” Che sia vero o no che il segretario del Pd è pronto a varcare la soglia di Palazzo Chigi, a Reggio Emilia non poteva dire niente di diverso da quello che ha detto di fronte a migliaia di sostenitori: «Noi siamo pronti». È lui la prima delle tre gambe del tavolo politico. È lui il segretario-candidato (Renzi permettendo) del partito più accreditato dai sondaggi. Ha il dovere di essere pronto: a vincere le elezioni, sì, ma in prima battuta pronto a misurarsi con il sindaco di Firenze nelle “primarie”. A Reggio Bersani ha parlato soprattutto al suo partito con toni mirati a unire la base, a evitare che entrino in campo altre suggestioni, magari la tentazione di inseguire qualche “populismo” di passaggio. E il richiamo alle popolazioni terremotate, alla loro ferrea volontà di risalire la china, va in questa direzione. Ma la difficoltà del segretario del Pd è evidente. Guida una forza di sinistra, la più esposta alle ricadute sociali delle ricette montiane. Subisce la pressione di tutti coloro che si stanno già schierando per il Monti-bis. Realisticamente è consapevole che la via del reincarico all’attuale premier potrebbe essere obbligata dai dati di fatto e magari da un risultato elettorale non così netto. Ma non può e non vuole dirlo. Tutta la sua campagna sarà giocata sul filo dell’ambiguità: rispettare il programma di Monti, ma andare oltre. Andare oltre per sostenere il ceto medio e le classi deboli. Non solo: Bersani si è sforzato di tenere insieme l’equità sociale e il rilancio dell’economia, benché la sua visione del futuro sia ancora frammentaria. C’è un forte europeismo, c’è anche una lancia spezzata in favore di un’assemblea costituente destinata ad avviare (finalmente) le fatidiche riforme costituzionali. Ma il suo riformismo avrà bisogno di essere messo a punto molto meglio nei prossimi mesi. Quanto a Monti, nel momento in cui afferma «siamo pronti a governare», è chiaro che Bersani tende a escludere il “bis”. Ma cosa avrebbe potuto dire di diverso? La campagna elettorale ha le sue esigenze. Peraltro il sentiero di Bersani è stretto e le insidie arrivano da ogni parte. Importante, anzi essenziale, sarà il rapporto con il Quirinale. Ecco perchè uno dei passaggi più significativi a Reggio Emilia è stato il grande applauso “chiamato” per il capo dello Stato, difeso a spada tratta dalle accuse ingiuste che lo hanno sfiorato. La puntualizzazione di Alfano Chi segue una logica diversa, ma non del tutto dissimile, è Alfano. Peraltro la sua messa a punto sul fatto che Monti dovrebbe candidarsi, se vuole governare, è più che altro un “atto dovuto”, una posizione di bandiera. Intanto ha parlato lui e non Berlusconi. Se la questione fosse stata considerata di primaria importanza, dalle parti del Pdl, avrebbe parlato il “fondatore” (definizione dello stesso Alfano). Viceversa Berlusconi è sempre silente quando si tratta di Monti. E se parla, è per appoggiare in varie circostanze il premier. Come dire che l’ex presidente del Consiglio conosce i termini del problema e sa che i margini di manovra sono esigui. Lascia parlare Alfano per non obbligarsi a una posizione che sarà difficile mantenere. Certo, è vero che il partito più votato (oggi il Pd, secondo i sondaggi) dovrebbe esprimere il premier. Ma con quale sistema elettorale? Se avessimo un modello realmente maggioritario, con elezione diretta dell’inquilino di Palazzo Chigi, non ci sarebbero dubbi e le obiezioni di Alfano sarebbero più che giustificate. Ma non è così. Il sistema elettorale potrebbe essere riformato in senso proporzionale nei prossimi due-tre mesi e i fautori più convinti dell’innovazione sono proprio i dirigenti del Pdl. Come si spiega allora la contraddizione di Alfano? Vorrebbe che s’imponesse la logica e le conseguenze del maggioritario nel momento stesso in cui opera per tornare al proporzionale. E nel proporzionale spetta più che mai al capo dello Stato, in via politica oltre che costituzionale, il diritto-dovere di scegliere il premier. Non il più votato dagli elettori, bensì quello più in grado di assicurare una coalizione ben assortita e di applicare un programma coerente. Il caso di Monti, a quanto pare. Diciamo allora che la tesi del Pdl è obbligata, data la situazione. Casini può dire fin da ora “Monti”. Il partito di Berlusconi, che è ancora maggioranza relativa in Parlamento, non può. Si deve votare prima e decidere dopo chi guiderà il paese. Il gioco d’anticipo di Casini Come talvolta gli accade, Pierferdinando Casini si è mosso con rapidità tattica, battendo sul tempo gli avversari o i potenziali alleati. In questo caso su Monti si è espresso con chiarezza prima di Bersani. Del resto, il leader dell’Udc, il vecchio partito ora in via di trasformazione in una formazione centrista più ampia e in grado di rappresentare imprenditori e operatori economici, è sempre stato un antesignano dell’appoggio incondizionato all’attuale premier. In sostanza Casini deve solo tenere la posizione, correlandosi non solo al sentimento di buona parte del mondo economico in Italia, ma anche alla volontà dei partner europei e degli ambienti finanziari internazionali. Tutti sono a favore di un prolungamento di Monti, tutti vogliono che alla guida del governo post-elettorale il professore della Bocconi continui lungo la strada tracciata in questi mesi. Chi ha posto un po’ di attenzione al dibattito degli ultimi giorni si sarà reso conto che anche l’intervento trasmesso da Giorgio Napolitano al “workshop” Ambrosetti era ricco di riferimenti al quadro europeo e alla necessità di insistere sui programmi di risanamento intrapresi. Napolitano ha detto fra l’altro che egli continuerà dal Quirinale a garantire il rispetto degli impegni assunti con l’Unione. E non c’è dubbio che Monti è il miglior garante di quegli impegni. Lo è oggi e lo sarà anche domani. Casini lo sa è ha assunto una posizione che oggi non può essere né quella di Bersani né quella del Pdl. E domani? Domani si vedrà. Del resto, è vero o non è vero che molte delle scelte politiche italiane si fanno a Bruxelles?
ilsole24ore.com – 10 settembre 2012