Repubblica. Immobili come statue di sale. O come damigelle vittoriane, in attesa che un pretendente offra il secondo ballo. Perché la regola di ogni crisi, per un esponente di governo, è agitarsi il meno possibile. Chi lo fa, è perduto. E così anche le ministre date più in bilico – donne, quasi tutte, il che crea un problema non da poco – continuano a lavorare come se niente fosse. Non fanno domande sul loro destino. A chi potrebbero chiedere, del resto, se non si capisce bene chi, nei prossimi giorni, darà davvero le carte? Chiamare il presidente del Consiglio in cerca di rassicurazioni avrebbe poco senso, dal momento che le ipotesi di un Conte ter seguono un borsino impazzito che cambia a ogni rialzo di posta. Paradossalmente, sono i ministri pd più vicini al premier, quelli che in queste ore hanno più da temere.
Perché se la logica che prevarrà sarà quella di un governo rafforzato dal punto di vista politico, sarà più forte chi è rimasto maggiormente fedele agli organismi dirigenti dei partiti di chi ha seguito la via contiana del populismo gentile.
Ci sono però dei punti fermi. Roberto Gualtieri, considerato molto in sintonia con il premier, non dovrebbe essere toccato mentre ha in mano i destini del Recovery Plan. Così come il ministro della Salute Roberto Speranza, in piena pandemia. Luigi Di Maio giura di non aver alcuna intenzione di lasciare gli Esteri, dove sta costruendo un percorso che non vuole interrompere. Neanche se a chiedere quel ruolo fosse Matteo Renzi in persona, in cerca di un rinnovato accreditamento per un futuro nella Nato. O se dovesse reclamarlo per la fedelissima Maria Elena Boschi, il cui nome è per ora protetto da ogni candidatura (si fa solo quello di Ettore Rosato, di Iv, ma i nomi che si tacciono sono quelli che non si bruciano).
Giura di non voler mollare, Di Maio, anche se l’alternativa fosse il posto di Luciana Lamorgese all’Interno, altra donna in bilico insieme alle responsabili dei Trasporti Paola De Micheli (Pd), del Lavoro Nunzia Catalfo (M5S) e dell’Innovazione Paola Pisano, entrata a suo tempo in una quota Casaleggio che adesso ben pochi dei governisti 5 stelle hanno voglia di proteggere. (Giurano invece, almeno per ora, di volerlo fare con la ministra della Scuola Lucia Azzolina). In alternativa a Di Maio, potrebbe passare al Viminale – lasciando il suo posto sempre a Renzi, Boschi o Rosato – il ministro della Difesa Lorenzo Guerini, che ha però passato un anno a costruire relazioni internazionali delicate. Tra i dem a rischio ci sarebbe il ministro per le Politiche europee Vincenzo Amendola, che potrebbe ripiegare su una candidatura a sindaco di Napoli (proposta giunta alle sue orecchie come a quelle del ministro dell’Università Gaetano Manfredi, altro “tecnico” in bilico, e allo stesso Costa).
Ma davvero, c’è un problema di quote rosa, togliendo il Mit a De Micheli, unica donna dem del governo. Perché per entrare, stando alle ultime candidature, sono in fila soprattutto uomini: il consigliere Goffredo Bettini, uno degli ideologi dell’attuale alleanza; il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, che potrebbe tornare magari proprio ai Trasporti; il vicesegretrario Andrea Orlando, che invece lascerebbe volentieri la Giustizia, già amministrata, al capodelegazione M5S Alfonso Bonafede, considerato inamovibile dai suoi seppur spesso sotto attacco – per ritagliarsi un posto a Palazzo Chigi, da sottosegretario alla presidenza o da vicepremier. Non c’è un Pd, in quelle stanze, e questo è uno dei primi vuoti che i dem intendono colmare. Con buona pace del M5S Stefano Buffagni, che da viceministro del Mise sarebbe volentieri passato a sostituire Riccardo Fraccaro nel ruolo che fu di Giancarlo Giorgetti ai tempi del Conte uno.
Quanto alla delega ai Servizi, se Conte si decidesse davvero a cederla, sarebbe per affidarla a qualcuno di completa fiducia (opzione contro la quale perfino Renzi non potrebbe dire nulla). E quindi sono in lizza l’attuale sottosegretario Mario Turco, M5S che dovrebbe però lasciare la delega alla programmazione economica e agli investimenti; il segretario generale alla presidenza del Consiglio Roberto Chieppa oppure il capo di gabinetto Alessandro Goracci.
Ma in caso di governo nuovo con la stessa maggioranza, che sia o no un Conte ter, se davvero a muoversi saranno molte caselle, la corrente Di Battista del Movimento chiederà un posto provando a sfruttare la sua quota di parlamentari: difficile possa ottenerlo chi considera l’intesa con il Pd la morte nera, ma non si sa mai, quando tutto balla. Così come spingono per salire qualche gradino sottosegretari rampanti come Buffagni, Laura Castelli o Giancarlo Cancelleri. In bilico la posizione di Vincenzo Spadafora, abile, ma inviso a parte dei gruppi parlamentari. Mentre potrebbe cambiare posizione, ma restare comunque dentro, il minstro allo Sviluppo Stefano Patuanelli.