Altro che quota 41, promessa dalla Lega. «La faremo entro la legislatura», ripete il leader e vicepremier Matteo Salvini. Nel frattempo, per medici e infermieri, ecco quota 46. Prolungare il lavoro in corsia fino all’inverosimile per evitare il taglio che il suo governo, il governo Meloni, ha prima introdotto con l’articolo 33 della manovra. E poi emendato per rispondere alle critiche e allo sciopero dei sanitari. Ecco il risultato. TESTO EMENDAMENTO
La soluzione salomonica trovata da Palazzo Chigi difficilmente riceverà il plauso dei sindacati e della stessa categoria dei medici. Primo, perché la richiesta era di stralciare l’intera norma che invece rimane. Secondo, perché la pezza sembra peggiore del buco. Se il taglio nasce come retroattivo e colpisce 732 mila lavoratori pubblici in vent’anni, garantendo 21 miliardi di risparmi allo Stato – dipendenti degli enti locali, medici, insegnanti, ufficiali giudiziari che hanno iniziato a versare contributi tra 1981 e 1995 – averlo ridotto solo per alcuni sembra mostrare un doppio profilo di incostituzionalità.
Ma vediamo come si arriva a quota 46. L’emendamento, bollinato dalla Ragioneria e depositato giovedì notte in commissione Bilancio del Senato, prevede tre deroghe. La prima per tutte e quattro le categorie di dipendenti coinvolti: chi matura i requisiti per la pensione di vecchiaia e anticipata entro il prossimo 31 dicembre è esente dal taglio. La seconda deroga, strutturale e valida anche questa per tutti, lascia fuori da ogni penalità quanti escono a 67 anni in pensione di vecchiaia, dal 2024 in poi.
La terza deroga investe la pensione anticipata dal 2024 in poi, quella che si raggiunge con 42 anni e 10 mesi di contributi (un anno in meno per le donne), a prescindere dall’età anagrafica. Ma riguarda solo i medici e gli infermieri. Per ogni mese di permanenza ulteriore al lavoro, il taglio viene ridotto di un trentaseiesimo.
In pratica, con tre anni di lavoro aggiuntivo, il ricalcolo in base a diversi e più penalizzanti coefficienti (rispetto a quelli molto di favore del 1965) si azzera. Meccanismo precluso agli altri lavoratori pubblici coinvolti che si prendono il taglio per intero: fino a tre anni di contributi persi, 3 mila euro netti all’anno in meno, secondo i calcoli Upb.
Ecco dunque che un sanitario potrebbe arrivare a 45 anni e 10 mesi di contributi versati. Se si aggiunge la finestra di attesa, siamo oltre i 46 anni. Quota 46, appunto. Le finestre sono state tutte allungate, rispetto ai tre mesi canonici che oggi si aggiungono al raggiungimento del requisito per l’anticipata (l’ex pensione di anzianità). Solo per queste quattro categorie le finestre diventano: tre mesi nel 2024, quattro mesi nel 2025, cinque mesi nel 2026, sette mesi nel2027 e nove mesi dal 2028.
Un medico che l’anno prossimo raggiunge i 42 anni e 10 mesi di lavoro e decide di restare per evitare di perdere fino a un quarto della sua pensione, se lavora altri tre anni così da azzerare il taglio, arriva a 45 anni e 10 mesi. Poi nel 2027 dovrà aggiungere ben sette mesi di finestra (o anche solo tre se Inps gli riconoscerà la finestra del2024, quando ha raggiunto i requisiti canonici). Quindi uscirà dall’ospedale dopo aver lavorato 46 anni e 5 mesi.
Grazie alle finestre allungate, il governo mette al riparo i 21 miliardi di risparmi che l’articolo 33 della manovra gli assicura in vent’anni. Questo perché le risorse in più che servono a coprire le nuove deroghe sono bilanciate dai risparmiassicurati dalle uscite ritardate nel tempo (la spesa per le pensioni si sposta più in là). Alla fine l’emendamento costa zero. E contiene un’importante clausola che serve a superare i limiti di permanenza nella Pubblica amministrazione: la possibilità di restare al lavoro fino a 70 anni, oltre i 40 di contributi versati. Altro che quota 41.
La Repubblica