Bocciati l’autonomia finanziaria e il numero dei consiglieri. Si andrà alla Corte costituzionale. Reazione furiosa di Lega e Pdl, che minacciano una «marcia su Roma»
Per il senatore leghista Paolo Franco siamo di fronte ad «un govero fascista». Il capogruppo del Pdl Dario Bond ed il suo vice Piergiorgio Cortelazzo si dicono pronti a «marciare su Roma». Il vice governatore Marino Zorzato parla di «un intollerabile passo indietro nel rapporto tra la Regione e lo Stato», il presidente della commissione Statuto Alberto Tesserin di «una decisione scandalosa e vergognosa», quello del consiglio Valdo Ruffato sospetta «un dispetto ad una terra governata da un partito che è all’opposizione nella capitale». E i venetisti si preparano a scendere in piazza. Nessuno se l’aspettava. E invece è successo. Al termine del consiglio dei ministri di venerdì il governo Monti ha deciso di impugnare di fronte alla Corte costituzionale il nuovo Statuto del Veneto e la legge elettorale che ne è seguita. Rimettendo così in discussione il lavoro, durato oltre un anno e mezzo, di una commissione chiamata a rinnovare l’architettura istituzionale della Regione, ormai datata 22 maggio 1971, culminato all’inizio di quest’anno in una Carta approvata all’unanimità. Una decisione che apre una nuova, profonda crepa tra il Veneto e Roma. Ormai sempre più lontana.
L’autonomia finanziaria Non il «Prima i veneti» che tanto ha agitato i sonni della politica di qui, non l’autonomia di Belluno, che pure qualche perplessità aveva sollevato nei giorni scorsi. A spingere il governo al ricorso alla Consulta sono tre righe tre al comma 4 dell’articolo 30, intitolato «Autonomia finanziaria»: «La Regione, d’intesa con il Consiglio delle autonomie locali, adatta i vincoli posti dalla legislazione statale in materia di coordinamento della finanza pubblica alle specifiche esigenze del Veneto». Un passaggio anonimo, che mai prima d’ora aveva destato attenzione, e che però il governo ritiene lesivo dell’articolo 119 comma 2 della Costituzione. In sintesi, il governo teme che la Regione, modulando l’applicazione delle tasse in base alle sue specificità territoriali, possa finire con l’aprire pericolosi spiragli all’evasione ed all’elusione fiscale. La norma statutaria, però, appare perfettamente in linea con la legge delega sul federalismo fiscale del 2009 ed i successivi decreti attuativi.
Il numero dei consiglieri Il secondo punto contestato riguarda invece la legge elettorale, impugnata in quanto provvedimento che dà efficacia all’articolo 34 comma 2 dello Statuto, quello per cui d’ora in avanti verranno eletti un consigliere ogni centomila abitanti, fino ad un massimo di 60 consiglieri, oltre al presidente ed il più votato dei suoi sfidanti. Al momento, posto che in Veneto si contano 4 milioni 948 mila abitanti, i consiglieri sarebbero in tutto 51. In futuro, però, potrebbero aumentare al crescere della popolazione, finendo così per violare il limite imposto da un decreto del governo Berlusconi, che fissa un tetto invalicabile, per le Regioni fino a 6 milioni di abitanti, proprio in 51 consiglieri.
Il retroscena Lo stupore con cui la decisione del governo è stata accolta in Veneto si spiega anche con la trattativa riservata condotta in queste settimane sull’asse Venezia- Roma. Alla fine, rivelano fonti in laguna, si era arrivati ad una sorta di gentlemen’s agreement per cui il governo avrebbe dato via libera allo Statuto, impugnando però la legge elettorale, che in effetti era già stata contestata in sede di dibattito a Palazzo Ferro Fini. In quel caso la Regione avrebbe accettato la reprimenda di buon grado, procedendo alla correzione. E invece, nonostante i dubbi sugli articoli più delicati fossero stati superati, il consiglio dei ministri ha deciso di trascinare comunque davanti alla Consulta anche la Carta, puntando sull’articolo 30. Sorpresa dell’ultimo minuto.
Gli scenari Il governatore Zaia ha già fatto sapere di voler lottare in sede giudiziale, mettendo tutto nelle mani degli avvocati. L’alternativa, al momento non contemplata, prevede il ritorno dello Statuto e della legge elettorale in consiglio, per apportare le modifiche chieste dal governo. A Venezia, però, si fa strada anche una terza opzione, clamorosa: lasciare tutto così com’è. Lo Statuto resterebbe quello del 1971 e si continuerebbe a votare con l’attuale legge elettorale, che com’è noto prevede la bellezza di 60 consiglieri. In questo caso, è vero, si violerebbe il decreto Berlusconi. Ma le sanzioni previste all’epoca da Tremonti per chi non si fosse adeguato al taglio sono state nel frattempo eliminate dal governo Monti. E senza sanzioni, campa cavallo.
Le reazioni Dalla Lega al Pdl, le forze di maggioranza sono in fibrillazione e pronte ad azioni «anche clamorose ». Si segnala però il commento del presidente del consiglio Valdo Ruffato (Pdl) che prima dice di temere un dispetto di Monti ad un partito, la Lega, «che non solo non appoggia il Governo, ma lo osteggia in modo talora persino plateale» e quindi avverte: «Attenzione a non prestare il fianco, con dichiarazioni e comportamenti che rischiano di apparire talora più provocatori che di sostanza, ad un rapporto conflittuale con lo Stato». Anche la capogruppo del Pd Laura Puppato va controcorrente e nonostante il suo partito abbia contribuito ad approvare lo Statuto, stiletta: «Il Veneto sta impugnando tutto quello che sta facendo il governo, quindi dovevamo aspettarci una particolare attenzione verso chi si considera all’opposizione. Insomma, chi la fa l’aspetti».
Corriere del Veneto – 4 febbraio 2012