Repubblica, Va lento, il Pnrr. Così piano che rischia di sbattere contro la scadenza del 2026, lasciando per strada soldi e opere incompiute. Ecco il pericolo nascosto dietro i numeri di una spesa che al 31 dicembre 2023 si è fermata a 45,6 miliardi, meno della metà dei 101,93 che l’Italia ha incassato fino ad oggi.
Dopo mesi di polemiche con la Corte dei conti e l’Ufficio parlamentare di bilancio – e persino, sotto traccia, con la Ragioneria, ora anche Palazzo Chigi (dopo aver lanciato accuse sulla correttezza dei dati) deve prendere atto della spesa al rallentatore. E quindi anche dei numeri elaborati dal ministero dell’Economia che danno l’idea delle difficoltà. Raffaele Fitto, il ministro-regista del Piano, prova a mettere una pezza: «I numeri sono assolutamente sottodimensionati» perché i soggetti attuatori, ragiona, «non hanno caricato» sul “cervellone” Regis i dati di «una spesa già di fatto effettuata». Ma seppure prudenziali, le cifre risultano sballate rispetto al ritmo che l’Italia deve tenere per rispettare gli impegni presi con l’Europa. Da qui all’estate del 2026 bisognerà spendere circa 150 miliardi, 50 all’anno: un’accelerazione che oggi appare impossibile se si considera che dal 2021 al 2023, quindi in tre anni, si è riusciti a impiegare appena 45 miliardi.
Non convince neppure un’altra lettura che dà la destra al governo per sostenere che c’è stato uno scatto rispetto al lavoro lasciato da Mario Draghi a Giorgia Meloni. Per l’esecutivo, la spesa nel 2023 è stata pari a 21,1 miliardi, mentre nel biennio 2021-2022, con l’ex presidente della Bce a Palazzo Chigi, si è fermata a 24,4 miliardi. Ma è altrettanto vero che i primi due anni del Pnrr sono stati, più del terzo, un periodo caratterizzato da «obiettivi da raggiungere in prevalenza di natura qualitativa, che hanno consentito di avviare gli interventi e le relative procedure senza generare spesa », come l’attuale governo scrive nella relazione. Altri numeri ridimensionano lo sforzo promesso: lo scorso autunno, con la Nadef, era stata programmata una spesa di 40,9 miliardi per il 2023, poi stretta a 33,8 a giugno. Alla fine, però, l’asticella si è fermata ancora più in basso, a 21,1 miliardi. Spesa “drogata” dai bonus.Ben 13,9 miliardi fanno riferimento al Superbonus. A seguire i crediti d’imposta per il piano Transizione 4.0, che hanno assorbito 10,7 miliardi. E altri due sono andati alle imprese sempre sotto forma di bonus per gli investimenti in ricerca e sviluppo. Se si sommano queste voci, la spesa “automatica” ammonta a 26,6 miliardi, più della metà delle risorse messe a terra. I cantieri, invece, stentano: meno di 20 miliardi per i lavori pubblici. È il Pnrr dei bandi di gara che non funziona. E i ministeri, tra i soggetti attuatoriprincipali, procedono a rilento. Se quelli più veloci (Ambiente e Imprese) sono riusciti a spendere, rispettivamente, 14 miliardi (su 33,7 da impiegare) e 13,7 miliardi (rispetto ai 28,8 totali) è grazie ai bonus. In ritardissimo il ministero del Lavoro (appena 59 milioni su 8,4 miliardi) e quello del Turismo (67 milioni su 2,4 miliardi).
Eppure la premier rivendica i risultati raggiunti. Ma Fitto continuerà a guidare la macchina anche dopo le elezioni europee, a valle di un possibile rimpasto?«Io sono intercambiabile, posso andare anche a casa», ironizza il ministro. Ma anche a Bruxelles, ipotesi che non esclude. È già tempo di derby con il titolare dell’Economia Giancarlo Giorgetti, anche lui nella rosa dei candidati a commissario europeo. È ancora il Pnrr a dividere le strade dei due ministri. Al principio fu lo “scippo” di Fitto, che ha tolto poteri e competenze al Mef, trasferendo la stanza dei bottoni a Palazzo Chigi. Ora la partita si gioca per una poltrona in prima fila in Europa.