Gianni Giacomino. È triste e arrabbiato Mario Berti, apicoltore di 77 anni di Caravino, vicino a Ivrea, quando guarda quello spazio di prato vuoto dove, fino all’altro giorno, erano sistemate 17 arnie popolate da oltre un milione di api, pronte a volare su piante e fiori per catturare i primi germogli. Qualcuno le ha rubate. «Non le ritroverò mai più, mai più – scuote la testa rassegnato – Per la mia famiglia è un grosso danno. Sacrifici e lavoro buttati via. Ma sono pronto a ricompensare chi mi riporterà le api».
Il danno si aggira intorno ai 5 mila euro. Berti, vincitore di ben otto premi nazionali per la qualità del miele che produce, è solo l’ultima vittima dei «predoni delle arnie». Che stanno razziando dal Trentino alla Sicilia, perché gli alveari italiani, di grande qualità, sono una merce preziosa che muovono un giro di affari annuo intorno ai 150 milioni di euro.
«Da un po’ di tempo a questa parte i furti sono in costante aumento e noi siamo molto preoccupati» – non nasconde Raffaele Cirone, il presidente nazionale della Federazione Apicoltori Italiani. Fornire delle statistiche sui raid è quasi impossibile. Solo un dettaglio è sicuro. «Chi decide di commettere questo tipo di crimini sa come avvicinarsi alle api, come trattarle e, di solito, sa già come piazzare la refurtiva sul mercato nero. È uno del settore» – analizza Cirone. Oppure: «Si tratta di apicoltori esperti che rubano perché sono a conoscenza di “colleghi” interessati all’acquisto di alveari». L’allarme ha convinto alcuni apicoltori a mettere mano al portafoglio e ad infilare nelle arnie dei microchip. In questo modo, attraverso il sistema satellitare gps, si può sempre tracciare e individuare la posizione della casetta. Altri imprenditori del miele, per sorvegliare fuchi e api regine, hanno invece preferito adottare la soluzione più tradizionale delle telecamere, a parte la solita polizza assicurativa. Una «casetta» con tutta la sua popolazione può costare da 250 fino a 400 euro. Un’ape regina da riproduzione parte da una quindicina di euro e raggiunge qualche centinaio di euro se ha un pedigree nobile. «Soldi che qualcuno sborsa senza problemi pur di entrare in possesso dell’alveare e produrre miele di qualità» – spiega Giancarlo Naldi, al timone dell’Osservatorio Nazionale Miele. Il presidente evidenzia come in Italia, dove si produrrebbero dalle 23 alle 25 mila tonnellate di miele, dagli ultimi rilevamenti effettuati, su un milione e mezzo di alveari «Emerge che circa 360 mila non sono censiti e questo è un guaio. Perché non si conoscono le condizioni sanitarie delle api che potrebbero anche trasmettere delle malattie».
Un modo per cercare almeno di contrastare le razzie delle arnie ci sarebbe. Ed è l’anagrafe apistica nazionale, nata poco più un anno fa. Un registro al quale tutti i proprietari e detentori di alveari (12 mila quelli «professionali» e dai 35 ai 40 mila quelli con attività di autoconsumo, secondo i numeri dell’Osservatorio), dovrebbero iscriversi, comunicando tutte le caratteristiche dei loro apiari. «Peccato che, dall’entrata in vigore del provvedimento, manchino almeno la metà degli apicoltori italiani e la metà degli alveari – dice chiaramente Cirone -. Ma, poco per volta, perfezioneremo il sistema. L’obiettivo è quello di arrivare ad ottenere il controllo di tutti gli alveari attraverso delle coordinate satellitari». La settimana scorsa a Saluzzo un ladro di api è stato scoperto e denunciato dai carabinieri. Rischia una pena pesante. A parte una sanzione pecuniaria, da uno a sei anni di carcere per abigeato, perché far sparire delle api è classificato come furto di patrimonio zootecnico.
La Stampa – 8 aprile 2016