di Anna Meldolesi. Il grano corretto per produrre pane buono per i celiaci. I maialini col Dna ripulito per fornire, in futuro, organi da trapiantare nell’uomo. Le zanzare manipolate per provare a eradicare la malaria. Ma soprattutto le cellule e gli animali geneticamente modificati per studiare le basi molecolari delle malattie. E sì, anche gli embrioni umani portatori di gravi mutazioni corrette con la stessa facilità con cui eliminiamo i refusi da un testo scritto al computer. È solo un assaggio di quello che i ricercatori stanno facendo in tutto il mondo con l’aiuto di una nuova tecnica che consente di riscrivere i genomi in modo efficiente e preciso. Le scienze della vita sono entrate in una nuova era?
Il suo nome è Crispr, ma si pronuncia Crisper. Se non avete mai sentito questa parola, potrebbe essere arrivato il momento di impararla, perché questa innovazione biotech sta accendendo grandi speranze e anche qualche polemica. Ci si possono fare moltissime cose utili, tante dilettevoli, alcune avveniristiche, qualcuna azzardata. Dire sì o no alla tecnica in blocco, dunque, non avrebbe senso. Bisogna distinguere, soppesare vantaggi e rischi caso per caso, avviare un dibattito che sia scientificamente fondato e culturalmente inclusivo.
All’orizzonte si profilano domande difficili. Il sistema Crispr è abbastanza maturo per utilizzarlo sull’uomo? In quali condizioni è lecito modificare degli embrioni umani o intere popolazioni di organismi viventi? Come adoperarsi perché i benefici del progresso scientifico siano distribuiti equamente, e non allarghino la forbice tra chi ha molto e chi ha poco? La necessità di maneggiare attentamente le spine però non dovrebbe far dimenticare quanto sono belle le rose. Fino a poco tempo fa le possibilità aperte dall’arrivo di Crispr sarebbero apparse a qualsiasi scienziato come un libro dei sogni.
Prima cambiare le sequenze genetiche era un lavoro lungo, costoso, difficile, in un certo senso elitario. Ora è rapido, economico, abbastanza facile da essere alla portata di tutti i biologi, in un certo senso più democratico. Il merito va a due ricercatrici, la biochimica americana Jennifer Doudna e la microbiologa francese Emanuelle Charpentier, che nel 2012 hanno avuto l’intuizione decisiva. L’armamentario che i batteri usano per tagliare il Dna dei virus invasori poteva essere riadattato e trasformato in una macchina molecolare tuttofare, capace di trovare le sequenze desiderate lungo il genoma e modificarle seguendo le istruzioni ricevute. Cinque anni e migliaia di articoli scientifici più tardi, possiamo dire che l’annunciata rivoluzione è ormai in atto.
Alle promesse miracolistiche non bisogna mai credere, Crispr non trasformerà il mondo nel giardino dell’Eden. Ma il successo della tecnica si può già misurare dal flusso ininterrotto di conoscenze che ci sta regalando: idee per test diagnostici di prossima generazione, espedienti per produrre combustibili verdi con le alghe, approcci innovativi alla terapia genica, nuovi scorci sul funzionamento dei genomi.
Quanto all’avventura commerciale di Crispr probabilmente non inizierà prima del 2020 e il debutto dovrebbe avvenire nei campi prima che in farmacia. Resta da vedere se la politica deciderà di favorire l’arrivo sul mercato delle piante corrette senza l’aggiunta di Dna estraneo, riconoscendo che sono fondamentalmente diverse dai vecchi Ogm.
Nel frattempo, dal cilindro di Crispr continuano a uscire meravigliose sorprese che sembrano portare la scienza a contatto con l’arte. Le ali delle farfalle sono state ridipinte geneticamente per studiarne l’evoluzione. Mentre il genoma batterico è stato trasformato in un cinema d’essai, per dimostrare il potenziale del Dna come supporto per l’immagazzinamento di dati.
Ad Harvard George Church ha tradotto nel linguaggio genetico un filmato che risale agli albori della storia del cinema — l’ottocentesco cavallo al galoppo di E. Muybridge — facendolo rivivere dentro a dei microrganismi. Accanto alle preoccupazioni per i rischi che accompagnano l’arrivo di ogni innovazione, e alle speranze per le tante applicazioni futuribili, facciamo spazio anche al senso di meraviglia.
La scienza non è illusione ma sa essere bella come la magia.
Il Corriere della sera – 24 ottobre 2017