- Se c’è un paese a cui guardare per avere un’anticipazione di cosa aspettarci dalla pandemia, quel posto è Israele. È arrivato prima su tutto: ha corso con le vaccinazioni, ha fatto da precursore con i green pass, è già partito con la terza dose di vaccino.
- Oggi a Tel Aviv si inizia presagire qualcosa di spiacevole: il ritorno del lockdown. Il paese sta già facendo i conti con la ripresa delle restrizioni.
- Nonostante 9 adulti su 10 siano vaccinati, un livello così alto di contagi giornalieri non lo si vedeva da febbraio. Aumentano anche i casi gravi. Ecco cosa sta succedendo, perché, e gli scenari.
Se c’è un paese a cui guardare per avere un’anticipazione di ciò che dobbiamo aspettarci dalla pandemia, quel posto è Israele. È arrivato prima su tutto: ha corso con le vaccinazioni, ha fatto da precursore con i green pass, è già partito con la terza dose di vaccino. Ma oggi a Tel Aviv si inizia presagire qualcosa di spiacevole: il ritorno del lockdown. Il paese, infatti, sta già facendo i conti con la ripresa delle restrizioni.
Il dato più recente, cioè 6mila nuovi contagi in 24 ore, è un ritorno al passato. Un livello così alto di contagi giornalieri non lo si vedeva da febbraio. Aumentano non solo i positivi ma anche i casi gravi: sono quasi 400. Il ministero della Salute prende atto che un numero così alto non si vedeva da sei mesi. Il tutto accade mentre nel paese sei persone su dieci hanno già terminato il ciclo vaccinale (se si considera solo la popolazione adulta, la cifra sale a nove su dieci). «Il ruolo che ha avuto il vaccino nell’impedire una catastrofe è fuori discussione», dice l’ex direttore generale del ministero della Salute, Moshe Bar Siman Tov. Eppure lui, che è stato a lungo considerato lo “zar del Covid”, ora è costretto ad ammettere che sono stati fatti alcuni errori. Quali? «Pensare che fosse possibile annientare la pandemia con un solo mezzo, cioè con il vaccino e basta. Speravamo che avremmo raggiunto l’immunità di gregge. Ma il vaccino non basta e neppure il green pass da solo arresterà la pandemia».
DELTA E IL PUNTO DI ROTTURA
Il cambio di rotta è cominciato circa un mese e mezzo fa. Come spiega Ran Balicer, che è a capo del panel di esperti sul Covid-19 ai quali fa riferimento il governo israeliano, da gennaio, con l’avanzare delle vaccinazioni, la curva dei contagi ha continuato a calare fino a inizio giugno, quando per due settimane consecutive non si sono registrati decessi. «All’epoca festeggiavamo la fine delle restrizioni, ci sollevavamo la mascherina, pareva che il Covid fosse solo un ricordo», dice Balicer. Ma dalla seconda metà di giugno «il trend si è invertito. Non avevamo più a che fare con la variante Alpha, con il Covid che avevamo conosciuto, ma con la Delta, che ha una contagiosità assai più elevata. Anche tra i vaccinati sono iniziati a crescere i contagi». Nelle scorse sei settimane sono aumentati esponenzialmente i casi, anche quelli gravi: «Ogni dieci giorni, i numeri raddoppiano. La situazione non accenna a normalizzarsi».
«Non c’è alcun dubbio che chi non è vaccinato rischia di ammalarsi gravemente molto più di chi ha fatto il vaccino» dice Balicer che, essendo a capo del comitato di esperti, non fa che analizzare dati. I grafici prodotti dal ministero della Salute mostrano in effetti che gli anziani, se non vaccinati, hanno oltre cinque volte più possibilità di ammalarsi gravemente rispetto ai coetanei immunizzati. «Ma se tra i vaccinati, vuoi per la contagiosa variante Delta, vuoi perché col tempo si affievoliscono gli effetti, aumentano i contagi anche senza portare a casi gravi, questo implica comunque a suo modo una maggiore circolazione del virus». Intanto con questo ritmo di contagi, se la tendenza continua, il ministero della Salute prevede che il primo settembre, quando riapriranno le scuole, ci saranno 10mila nuovi contagi giornalieri, la metà dei quali proprio fra gli studenti.
LO SCENARIO DEL LOCKDOWN
«Un altro lockdown? Sarebbe terribile! I ragazzini sono già stati privati dell’esperienza piena della scuola, tante attività sono state chiuse e la gente ha vissuto sulla sua pelle la perdita del lavoro», dice Ariel Avriel Sheffer, che insegna inglese a Tel Aviv. In primavera raccontava l’emozione della riapertura: a metà marzo, lui e il suo partner rimettevano piede in un ristorante, riprendevano l’abitudine della gita fuori porta e della nuotata in piscina.
Intanto il governatore della Banca centrale israeliana Amir Yaron fa i conti con questa ipotesi e preconizza mezzo punto percentuale di crescita in meno. L’economista Assaf Patir dice che nei mesi di riapertura «la disoccupazione è rapidamente calata» e se si tornasse a chiudere «non è nemmeno detto che questo governo continui la strategia di sussidi avviata in precedenza». Nel frattempo «chi può lavora da casa, ricominciamo a tenere le distanze», e «già questo stesso clima di incertezza impedisce ai lavoratori autonomi di fare progetti di medio periodo». L’incertezza non fa bene né alle persone «né all’economia».
Il punto fermo per ora sono le nuove restrizioni imposte da una settimana: tornano le mascherine anche all’aperto se c’è folla, da questa settimana il green pass serve per la maggior parte delle attività al chiuso e dal 20 agosto sarà richiesto anche agli under 12. Inoltre si ritorna a lavorare da casa. Negli uffici pubblici solo la metà del personale opera in presenza mentre nel settore privato è incoraggiato lo smart working. Il futuro prossimo di Israele sembra più un ritorno al passato.
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