Il questionario del Covesap su sanità pubblica ha coinvolto 1700 veneti
La sanità pubblica, eccellenza del Veneto in testa ai primati di Agenas? Rischia di diventare marginale con una quota del 35% negli screening di prevenzione perché, dopo l’emergenza Covid, il 65% dei pazienti ha modificato profondamente l’approccio e si rivolge a poliambulatori convenzionati e cliniche private. Insomma, piuttosto che aspettare due anni per togliersi una cataratta, si mette mano al portafoglio e così si può guardare la tv e leggere il giornale. La soluzione più rapida e sicura è la visita da uno specialista con ottimo curriculum ospedaliero, che continua ad esercitare dopo la pensione con la libera professione. Solo così si evitano le liste d’attesa del biennio Covid: stiamo parlando di 450 mila prestazioni bloccate, 370 mila delle quali erogate con gravissimi ritardi. A lanciare l’ennesimo allarme sulla crisi del “modello veneto”, non sono i partiti e Cgil Cisl e Uil ma un gruppo di cittadini che ha dato vita al Covesap, il coordinamento sanità pubblica, una rete che segnala disagi e disfunzioni in tutte le Usl. Ieri Giuseppe Barrichello, Orianna Zaltron, Salvatore Lihard, Maria Pina Rizzo hanno presentato le conclusioni di un questionario, avviato in aprile, che ha coinvolto 1700 persone. Cosa emerge? Il quadro generale è di profonda insoddisfazione e il primo grattacapo nasce con il medico di famiglia: per mettere piede in ambulatorio bisogna attendere almeno una settimana per il 42% degli interpellati, ma un altro 30% segnala ritardi fino a 15 giorni. La seconda tappa è legata alla prenotazione: il 54% si affida al call center e un 30% a siti web delle Usl e prima di parlare con un operatore bisogna attendere dagli 11 ai 30 minuti per poi finire nelle liste d’attesa: il 74% degli interpellati segnala l’impossibilità materiale di ottenere immediatamente l’appuntamento, un dato già riscontrato nel sondaggio dei sindacati. Il divario tra l’efficienza organizzativa e la tempestività della cura si manifesta in maniera più palese quando si scopre che il 75% del campione segnala che i tempi prescritti sulla “ricetta” medica non sono mai rispettati. Un dato che sale all’80% per la Usl 7 Pedemontana dell’Alto vicentino e si abbassa al 62% per la Usl 6 Euganea del Padovano. Il ritardo medio viaggia sui 2-3 mesi per il 27% e un 25% ha rinunciato “perché i tempi erano troppo lunghi”.
“Tutte le Usl hanno provato ad abbattere le liste d’attesa ma ci vuole un’altra strategia per risolvere il problema” spiega Orianna Zaltron. “I ritardi accumulati con il Covid consentono solo al 25% delle persone di curarsi nei tempi previsti dalle prescrizioni e così si mette a rischio la prevenzione. Spesso le prognosi si aggravano, le cure si prolungano nel tempo con maggiori disagi per il paziente e maggiori costi pubblici”.
L’ultimo capitolo della ricerca illustrata da Barrichello dimostra che solo il 35% degli intervistati si è curato in strutture pubbliche, mentre il 65% ha scelto i poliambulatori privati convenzionati. Infine, il 73% dichiara di aver pagato parte delle cure per accelerare i tempi: “Si tratta di capire se questa è una situazione strutturale o un’emergenza legata ai ritardi post Covid. Il 97% ritiene che aumentare le risorse per il settore pubblico sia la strada giusta per eliminare le liste d’attesa, ma gli ulteriori 29 milioni di euro che la giunta regionale ha destinato ai colossi privati a fine giugno vanno nella direzione opposta” conclude Zaltron.
La Nuova Venezia