«Pacta sunt servanda. Abbiamo dei contratti e abbiamo bisogno di quei vaccini adesso». Ursula von der Leyen non poteva essere più chiara di così. Il giallo dei ritardi dei vaccini Pfizer-Bion-Tech ha colto in contropiede la Ue. E la presidente della Commissione ha lanciato ieri in prima persona la controffensiva di Bruxelles per costringere il colosso Usa a rispettare gli impegni.
Le spiegazioni ufficiali degli intoppi alla distribuzione sono (in teoria) lineari. Una prima sforbiciata è arrivata l’8 gennaio, quando l’agenzia europea del farmaco ha alzato da 5 a 6 le dosi di ogni fiala. «I nostri contratti sono espressi in dosi», ha spiegato la società. E il ritmo delle consegne è stato così ritarato sul nuovo dosaggio autorizzato. I problemi di questi giorni sono legati invece ai lavori nello stabilimento di Puurs in Belgio per aumentare la produzione 2021 del vaccino da 1,3 miliardi a 2 miliardi di dosi. Una cosa breve, assicura Pfizer: «Le consegne torneranno regolari dalla settimana del 25 gennaio — ha garantito la società — con un aumento a partire dal 15 febbraio, consegneremo le quantità di dosi di vaccino previste per il primo trimestre e un quantitativo nettamente superiore nel secondo».
Il timore però, è il tam-tam negli ambienti diplomatici Ue, è che le cose non siano così semplici. Il «sovranismo farmaceutico» — con la pandemia fuori controllo in molte aree del mondo — ha scatenato una corsa miliardaria al vaccino. I ritardi di Sanofi, J&J, AstraZeneca hanno moltiplicato gli ordini del farmaco Pfizer-Bion-Tech, malgrado il prezzo — 19,5 dollari a dose in Usa — sia alto.
L’Ue, quando ha capito che l’ok a molte cure anti-Covid sarebbe arrivato a 2021 inoltrato, ha raddoppiato le prenotazioni a 600 milioni di dosi, gli Usa a 200 milioni. E molti paesi con forti disponibilità — ad esempio quelli del Golfo — sono pronti a firmare assegni in bianco per garantirsi una fornitura.
Pfizer e BionTech, spiazzate dalla valanga di prenotazioni last minute, hanno varato una mobilitazione per alzare la loro produzione. I lavori a Puurs sono il primo tassello. A fine febbraio dovrebbe partire un nuovo impianto a Marburgo in Germania. La rivale Baxter ha messo a disposizione per 18 mesi la sua fabbrica tedesca di Halle da cui usciranno «centinaia di milioni di dosi l’anno ».
Il problema però è che dei vaccini c’è bisogno oggi. E la Ue teme che parte delle sue prenotazioni sia dirottata ora verso ordini cui è impossibile — pecunia non olet — dire di no. Il tema sarebbe stato discusso ieri in un incontro con Pfizer, dedicato a un piano per aiutare i destinatari dei farmaci a estrarre con siringhe speciali la sesta dose dalle fiale ma allargato ovviamente al problema dei ritardi.
Il concorrente più duro nella corsa al vaccino, tra l’altro, è in queste ore l’America di Joe Biden. Il neo presidente Usa vuole immunizzare 100 milioni di persone in 100 giorni, progetto cui ha aderito con entusiasmo Albert Bourla, numero uno Pfizer. Le forniture per il mercato a stelle e strisce, in teoria, arrivano dallo stabilimento di Kalamazoo in Michigan e sono garantite da un programma trimestrale di consegne. L’Europa, nel timore di rimanere penalizzata dal piano-Biden che imporrebbe alle fabbriche nazionali con un ordine esecutivo di privilegiare le vendite domestiche, ha iniziato a mettere le mani avanti: «Vogliamo aprire una trattativa con la nuova amministrazione per arrivare ad aggiustamenti di questo progetto», ha ammesso ieri il ministero della salute di Berlino.