La mobilità dei lavoratori costituisce un’esigenza assai richiesta dalle imprese, a maggior ragione per fronteggiare momenti di crisi o semplicemente adottare forme elastiche di organizzazione del lavoro.
In questo contesto, il distacco rappresenta uno strumento di flessibilità cui le aziende – ma anche i professionisti e gli enti pubblici – ricorrono sempre più di frequente. Ad aumentarne la flessibilità di impiego, arrivano altri due chiarimenti: la sentenza della Cassazione n. 23933/2010 e l’interpello del ministero del Lavoro n. 1/2011 che si affiancano ai numerosi interventi giurisprudenziali e di prassi che hanno via via contribuito a chiarire l’applicazione dell’istituto del distacco, regolato dall’articolo 30 del Dlgs n. 276/2003.
La temporaneità
L’ipotesi del distacco costituisce espressione tipica dei poteri direttivi dell’imprenditore dovendo sussistere come unici presupposti l’interesse dell’impresa distaccante, la temporaneità del distacco, il permanere, in capo al datore di lavoro distaccante della titolarità del rapporto di lavoro e del potere di determinare la cessazione del distacco.
La pronuncia della Suprema corte prende in esame uno dei requisiti del distacco: la temporaneità. In particolare, quest’ultima, secondo un orientamento della Cassazione ormai consolidato, non va confusa con il concetto di brevità: in sostanza la destinazione del lavoratore a prestare la propria attività in favore di un terzo, non è vincolata a una durata predeterminata fin dal l’inizio, né al fatto che questa sia più o meno lunga. Il vincolo di legittimità risiede esclusivamente nella sussistenza, per tutta la durata, dell’interesse del distaccante a che il proprio dipendente presti la sua opera in favore del distaccatario. In pratica il distacco potrebbe addirittura persistere per tutta la durata del rapporto di lavoro: in questi casi, ma non solo, varrebbe la pena considerare l’opportunità di fare certificare il contratto tra l’impresa distaccante e i lavoratori coinvolti (presso le commissioni di certificazione) al fine di prevenire possibili controversie.
Resta inteso che sebbene la «non definitività» vada riferita alla durata del l’interesse del datore, questo debba essere valutato in relazione al concreto espletamento del l’attività, che non deve coincidere con la mera somministrazione o con lo scambio di manodopera.
Il luogo «diverso»
La nota del ministero del Lavoro n. 1 del 2 febbraio 2011 si sofferma invece sullo svolgimento della prestazione lavorativa nelle ipotesi di mobilità della manodopera: è stato chiarito che il luogo di lavoro del lavoratore distaccato non deve necessariamente coincidere con quello del l’impresa distaccataria, non costituendo un elemento indispensabile a valutare la corretta applicazione dell’istituto. Laddove ricorrano tutti i requisiti e siano puntualmente individuate le finalità perseguite con il distacco, che devono sussistere anche nel caso dei distacchi al l’interno di gruppi societari, il datore di lavoro potrà legittimamente procedere a comandare un lavoratore a svolgere la propria attività in un luogo diverso dalla sede dell’impresa distaccataria, così come in più luoghi diversi: si pensi ad esempio a prestazioni di trasporto o che richiedano l’effettuazione di trasferte.
Non va però dimenticato il precetto di cui al comma 3, del l’articolo 30, del Dlgs n. 276/2003 che consente il distacco su unità produttive situate oltre i 50 chilometri da quella cui il lavoratore è adibito, solo se giustificato da comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive. Altro vincolo da rispettare è l’acquisizione del consenso del lavoratore qualora il distacco comporti un mutamento di mansioni: mutamento che non deve essere inteso come marginale – tenuto conto che il lavoratore viene comunque calato in una diversa realtà produttiva – bensì tale da incidere sull’esplicazione delle mansioni stesse; inoltre non si dovrà tradurre in un demansionamento
Ilsole24ore.com 21 febbraio 2011