Chilometri di arenili incatramati, uccelli e pesci morti, dune da ripulire. Sono ciò che resta dell’incidente dell’11 gennaio, quando 20 metri cubi di olio combustibile sono finiti in mare
E’ successo durante le operazioni di scarico alla centrale termoelettica nel Golfo dell’Asinara. E i cittadini si mobilitano chiedendo maggiore controllo
SOLTANTO per un caso la marea nera non ha invaso il Parco Nazionale dell’Asinara e non ha toccato spiagge rinomate come Stintino. Il danno però non è meno grave: martedì 11 gennaio nel Nord della Sardegna, 20 metri cubi (questa la cifra ufficiale, ma c’è chi dubita sia quella reale) di olio combustibile si sono riversati in mare durante un’operazione di scarico da una nave alla centrale termoelettrica di Fiumesanto, nel comune di Porto Torres.
A oltre una settimana dall’incidente, secondo quanto riferisce La Nuova Sardegna 2, le operazioni di bonifica in mare sono terminate, ma sulle spiagge del Golfo dell’Asinara, nel territorio che interessa tre comuni (Porto Torres, Sassari, Sorso) rimangono i segni del disastro. Chilometri di arenili incatramati, uccelli e pesci morti, dune di valore incommensurabile per l’ecosistema da ripulire asportando la sabbia e, soprattutto, la rabbia dei cittadini che da anni chiedono maggiore controllo per un’area marina dall’indubbia importanza ambientale e turistica.
L’incidente. La centrale termoelettrica di Fiumesanto, proprietà della multinazionale E. On, da anni è al centro di polemiche. I suoi impianti sembrano un bubbone sulla pelle di una costa dove anche la spiaggia meno bella ha acque azzurre e spiagge bianche. Non ci sono soltanto le ciminiere E. On a deturpare il paesaggio: le costruzioni della centrale sono le ultime del grande agglomerato industriale di Porto Torres, nato negli anni Settanta, quando una politica industriale folle pensava di fare della Sardegna un polo chimico, ora diventato una cattedrale nel deserto che ha lasciato in agonia aziende e un’intera cittadina, Porto Torres.
La centrale è alimentata a olio combustibile, portato da navi che per il loro carico rappresentano da sole un pericolo. Come sia avvenuto l’incidente di martedì 11 non è ancora chiaro (c’è un’inchiesta della Procura in corso). Secondo la ricostruzione fatta ieri durante un vertice tra la E. On, le autorità locali e la Capitaneria di porto, a cedere sarebbe stato un tubo vecchio, mentre altre fonti parlano di “fenditure” nei cassoni per il contenimento dell’olio sulla banchina. In entrambi i casi è lecito ipotizzare gravi negligenze nelle operazioni di scarico e nel controllo dei macchinari utilizzati.
La dinamica. L’olio combustibile che si è riversato in mare non è soltanto inquinante, ma cancerogeno al contatto diretto. Secondo E. On sono stati 20 metri cubi a riversarsi in mare, una quantità modesta, ma la sostanza a contatto con l’acqua aumenta il suo volume 16 volte ed è stato così che la marea nera ha invaso un ampio tratto di arenile. Quando c’è stato lo sversamento soffiava prima vento di ponente e poi maestrale, perciò la chiazza è stata spinta verso Est, ha “saltato” Porto Torres ed è finita sulle spiagge di Platamona e Marritza, quasi fino a Castelsardo. Il Parco dell’Asinara è stato risparmiato, ma sarebbe bastato un soffio di libeccio e la marea avrebbe preso in pieno Stintino e la zona protetta. Non è una consolazione: alle spalle di Platamona si trova l’omonimo stagno, zona di interesse ambientale tutelata dall’Unione Europea. Lo stagno non ha ampie comunicazioni con il mare, ma per la sua salute sono fondamentali le dune che lo proteggono, proprio quelle su cui dovranno lavorare le ruspe per rimuovere il catrame.
La mobilitazione dei cittadini. La E. On ha avviato le operazioni di bonifica e ieri, secondo la capitaneria di porto e l’azienda, in mare la situazione appariva sotto controllo. Nonostante le rassicurazioni che l’olio combustibile resta a livello superficiale, esiste un’ampia letteratura che documenta danni nel lungo periodo anche sul fondo marino. E resta il problema degli arenili, dove rimossa la sabbia superficiale (e anche questo è un danno) ci sono pietre e rocce piene di catrame che andranno portate vie o resteranno lì con il loro rivestimento cancerogeno. “Prima di tutto abbiamo chiesto un risarcimento – dice Beniamino Scarpa, sindaco di Porto Torres – ma superata l’emergenza vogliamo che da questo incidente si prenda spunto per decidere in maniera seria che cosa fare del nostro futuro. Quanto accaduto è sintomo di un problema sotto gli occhi di tutti, quello del rapporto tra industria e territorio. Da anni il nostro comune cerca di avere risposte per la bonifca dell’area e per sapere che si vuole fare della zona industriale, ma l’Eni non ci dice nulla”.
Intanto i cittadini si sono organizzati in comitati perché su quanto accaduto non cali il silenzio. Chiedono di prendere parte alle operazioni di bonifica insieme ai tecnici della E. On, vogliono accertare la reale entità dei danni. Nel disastro, l’unica nota positiva è la veemenza con cui ha reagito la gente per riaffermare il suo diritto a proteggere il territorio.
repubblica.it – 18 gennaio 2011