Innanzitutto il provvedimento dispone, all’articolo 3, la suddivisione dei dipendenti in almeno tre aree funzionali, con l’aggiunta di una quarta definita di elevata qualificazione, rimettendo al contratto nazionale l’individuazione concreta di queste aree.
All’interno della stessa area, per la progressione comunemente definita orizzontale, si deve rispettare il criterio della selettività, già presente in passato; gli interpreti istituzionali l’hanno declinato come obbligo di riservare la progressione a una quota non superiore al 50% degli aventi diritto. Il decreto individua poi due criteri sulla base dei quali è possibile riconoscere la progressione: le capacità culturali e professionali e la qualità dell’attività svolta e dei risultati ottenuti. Su questo non ci sono modifiche rispetto al passato, anche se la materia, fino ad oggi, era di competenza dei contratti collettivi per effetto dell’articolo 23 del Dlgs 150/2009. Resta il problema di determinare l’arco temporale al quale far riferimento per la valutazione del dipendente, che potrebbe variare dall’anno al quale la progressione si riferisce al triennio precedente, ipotesi quest’ultima attualmente prevista per gli enti locali. A questo punto, per riconoscere il premio, è necessario attribuire una fascia di merito. Il pensiero non può che correre a quanto a suo tempo era previsto dall’articolo 19 del decreto Brunetta, abolito dalla riforma Madia.
Per le progressioni tra le aree, cosiddette verticali, il decreto ribadisce l’obbligo dell’adeguato accesso dall’esterno ai posti pubblici, quantificato come almeno il 50% delle posizioni disponibili. Sembra che il calcolo vada effettuato con riferimento al complesso dei posti che si intendono coprire, superando l’ostacolo della suddivisione in categorie o, peggio ancora, in profili professionali. Soddisfatta questa condizione, per le progressioni verticali non si deve più ricorrere alla riserva nei concorsi pubblici, ma viene attivata una procedura interna comparativa che non richiede il superamento di prove particolari da parte del dipendente ma che si fonda sull’analisi di una serie di fattori: la valutazione dell’ultimo triennio, l’assenza di procedimenti disciplinari, i titoli professionali e di studio oltre a quello richiesto per l’accesso e gli incarichi attribuiti. Anche per questo istituto si ritorna a una forma di selezione ancor più semplificata rispetto al percorso previsto dagli ordinamenti professionali dei comparti, che, in sostanza, si traducevano in concorsi riservati al personale interno all’amministrazione.
Per entrambe le progressioni resta il problema della decorrenza delle nuove disposizioni. Sono immediatamente applicabili o bisogna attendere i nuovi contratti nazionali che rileggano l’ordinamento professionale?