di Elena Dusi, Repubblica. Ora il numero di trapianti potrebbe aumentare. A Padova è stato riattivato un cuore che si era fermato da 20 minuti. Quel lasso di tempo fino a ieri era considerato eccessivo per recuperare l’organo. Invece il cuore di Padova, una volta rimesso in circolo il suo sangue, si è rimesso in moto. Lo ha fatto da solo, anche se il cervello nel frattempo si era spento e l’uomo era morto. I cardiochirurghi dell’Azienda ospedaliera dell’università di Padova guidati da Gino Gerosa hanno controllato che si contraesse con forza. Poi hanno stabilito che era in buone condizioni e lo hanno trapiantato su un uomo di 45 anni. «Ero sicuro che avrebbe ricominciato a battere» dice Gerosa. «Questo risultato straordinario potrebbe portare a un incremento del 30% degli organi disponibili».
Il ricevente è ancora in rianimazione intubato — l’intervento è avvenuto solo 5 giorni fa — ma Gerosa rassicura: «Il cuore funziona bene. Il paziente era cardiopatico dalla nascita. Aveva già subito due interventi. Era in lista d’attesa da due anni e si stava avvicinando al limite. È un uomo di cento chili e trovare un organo adatto non è stato facile». Il donatore aveva avuto un incidente di moto. «La lesione cerebrospinale era molto grave. D’accordo con i parenti si è deciso di evitare l’accanimento terapeutico» prosegue il chirurgo.
Padova non è nuova agli interventi di frontiera. Qui nel 1995 fu eseguito il primo trapianto di cuore d’Italia. Oggi Gerosa ha deciso di cimentarsi con il limite dei 20 minuti, considerato fino a ieri invalicabile. Per l’Italia il passo avanti potrebbe tradursi in 50-60 trapianti di cuore in più: una boccata d’ossigeno per le quasi 250 persone in lista d’attesa, che aspettano almeno un paio d’anni prima di arrivare alla sala operatoria. «È una notizia sorprendente anche per noi» commenta Giulio Pompilio, direttore scientifico del centro cardiologico Monzino Irccs a Milano. «Il 30% di organi in più che ci aspettiamo è ancora da dimostrare con esattezza. Ma abbiamo i dati sui test degli animali che ci danno speranza. Ora pensiamo di poter dare una scossa alle liste d’attesa».
La legge italiana al momento prevede che il cuore possa essere prelevato solo dai pazienti con morte cerebrale, quando è il cervello a spegnersi per primo. Le macchine continuano a far battere il cuore, che viene prelevato in tempi rapidissimi, messo in condizioni di essere preservato e trasportato senza danni. Quando invece la morte avviene percolpa di un arresto cardiaco (escluso l’infarto, che danneggerebbe l’organo), tutto è più difficile dal punto di vista dei trapianti. La legge italiana infatti impone un periodo di osservazione di 20 minuti, prima delladichiarazione di morte e dell’espianto degli organi. Fegato, rene e in alcuni casi polmone possono resistere per un periodo così lungo. Il cuore — si riteneva fino a ieri — no. Nessun prelievo di cuore era mai stato fatto in Italia da persone morte con arresto cardiaco. Negli altri paesi invece sì, perché il periodo di osservazione (il cosiddetto “no touch period”) è molto più breve: 5 minuti in Gran Bretagna, 10 in Francia. Lì la diffidenza nei confronti dei trapianti, il timore che una persona possa risvegliarsi dopo essere stata dichiarata morta, non sono accentuati come da noi. Nel mondo, l’Italia è il paese con il “no touch period” più lungo di tutti. Nel donatore di Padova, dal momento in cui il supporto vitale era stato interrotto, c’erano voluti 25 minuti prima che il cuore si fermasse completamente. «È la fase della cosiddetta ischemia calda» spiega Gerosa. «L’elettrocardiogramma non è ancora piatto, ma il cuore è già in sofferenza». In tutto dunque il cuore di Padova è rimasto senza ossigeno 45 minuti.
L’intervento veneto apre le porte alla donazione anche in caso di arresto cardiaco. «Ovviamente bisogna effettuare controlli molto rigorosi»fa presente Francesco Musumeci, cardiochirurgo del San Camillo di Roma. «Non si può rischiare che un paziente riceva un organo danneggiato ». Ma l’affidabilità delle analisi oggi è alta. «Nei normali interventi sul cuore l’organo viene fermato» spiega Pompilio. «Sappiamo come mantenerlo in condizione e poi farlo ripartire senza danni. Abbiamo decenni di esperienza».
Il dettaglio sorprendente, nel caso del cuore di Padova, è che sia ripartito da solo. Dopo i 20 minuti di osservazione i medici lo hanno riperfuso: hanno cioè ricominciato a far scorrere il sangue nell’organismo ormai senza vita, insieme a una soluzione che preserva i tessuti. «Noi non ci siamo sorpresi» commenta Gerosa. «Avevamo eseguito i test sugli animali e sapevamo che sarebbe avvenuto. Ora scriveremo un articolo scientifico per comunicare agli altri Paesi la nostra esperienza». Ma la soluzione per le liste d’attesa, secondo il cardiochirurgo, sarà il cuore artificiale. «Quando non ci sarà più bisogno di attendere un lutto per effettuare un trapianto».