di Francesca Sironi. Un buon pezzo della crisi italiana è spiegato in un grafico, pubblicato dalla Treccani nel suo atlante geopolitico del mondo . Eccoci lì, in ultima fila in Europa, con redditi ben più bassi dei nostri vicini spagnoli o francesi e un costo della vita che sfiora quello della Svezia. Altissimo. Risultato: sopravvivere pesa, per genovesi, milanesi o palermitani, quasi il doppio di quanto non pesi a una famiglia di Berlino o Madrid. Perché in Italia i prezzi dei beni non sono scesi insieme ai redditi, dal 2008 ad oggi? Perché “arrivare a fine mese” è più difficile da noi che in Spagna, ugualmente travolta dalla crisi economica globale? «Perché in Italia lo Stato pesa troppo». Si torna sempre lì: alle inefficienze di Roma. Lo spiega Francesco Daveri , professore ordinario di Economia all’università degli Studi di Parma e collaboratore de lavoce.info
Professore, perché in Italia il costo della vita è così alto?
«Innanzitutto perché paghiamo cari servizi come l’elettricità e l’acqua, quelli che siamo soliti definire “utilities”. Fino a che le società sono rimaste monopoli pubblici, il prezzo dei servizi era “politico”, deciso dallo Stato. Ma poi sono arrivate le privatizzazioni, e la quotazione in borsa (dove oggi Eni e Enel sono i nostri campioni) e così le aziende non hanno più potuto rimandare a Pantalone gli investimenti, ma hanno iniziato a mettere in bolletta sia i costi da coprire che gli utili per soddisfare gli azionisti. E i prezzi sono aumentati, anziché diminuire come hanno fatto i redditi».
Poi c’è l’Iva, che continua ad aumentare…
«Esatto. Il secondo elemento da tenere in considerazione è che in Italia le imposte indirette non hanno fatto che aumentare, negli ultimi anni, per coprire la spesa in eccesso della macchina statale. Parliamo sia dell’Iva che delle accise su prodotti come la benzina. Sono imposte che incidono direttamente sul costo della vita e sono inique, perché colpiscono i poveri più dei ricchi, che devono comprare allo stesso prezzo – maggiorato – un litro di latte o un chilo di pane. Tutto questo per far quadrare i conti dello Stato».
Manca qualcosa?
«Sì, i servizi come le assicurazioni e le banche. Anche qui i costi sono più alti in Italia che altrove. Più volte gli organi di controllo hanno segnalato anomalie nei prezzi delle Rc Auto – obbligatoria per chiunque abbia un’automobile – o dei conti correnti. Ma i cambiamenti sono lenti, nell’oligopolio che abbiamo, di fatto, di alcune società. E poi c’è il costo della casa: in Germania non c’è mai stato un boom edilizio come da noi, e gli affitti sono molto meno gravosi. In Spagna il boom c’è stato, è vero, ma è stato seguito da un altrettanto drastico “sboom”: e oggi il mercato è così basso da esser diventato vantaggioso per chi deve comprare o affittare. Da noi questo non è successo, e avere un tetto sopra la testa prende una bella fetta dei redditi».
Come si potrebbe fare a ridurre finalmente il costo della vita anche da noi?
«Uno dei binari è sicuramente quello delle liberalizzazioni. Dove sono state applicate – come ad esempio nella telefonia – i risparmi, per i consumatori, ci sono stati. Certo, in alcuni campi, come nella produzione di energia, è quasi impossibile far competere troppi soggetti diversi: i costi per costruire una centrale elettrica, ad esempio, sono troppo alti. In questi casi allora l’unico modo è aumentare i controlli. Ma si tratta ancora di formule che agiscono su una piccola parte del prezzo. Il peso maggiore, alla fine, ce l’ha sempre lo Stato. Basta pensare alla benzina: il 75 per cento del prezzo sono accise statali. Si può anche liberalizzare di più, ma se non si incide su quel 75 per cento …»
Per cui, nelle spese fisse di ogni italiano – la luce, il gas, la benzina, pure nei vestiti o nella spesa per la cena – incidono insomma gli sprechi della burocrazia?
«Sì è così. Quel “bagno di efficienza” che suggeriamo sempre noi cinici economisti alla fine ricadrebbe anche sul costo della vita. Se ci fossero meno sprechi, meno spesa in eccesso, si potrebbero finalmente far diminuire le accise e le imposte indirette. Quindi far ripartire i consumi, alleggerendo, anziché rendendo come succede adesso più pesanti, le spese fisse di ogni cittadino».
L’Espresso – 3 gennaio 2014