Scoperta una carcassa di cinghiale infetto in provincia di Parma. Drammatiche le ricadute economiche sulla filiera suinicola. Le responsabilità di istituzioni e commissario. Attesa la decisione di Bruxelles
Di Angelo Frigerio
Eravamo seduti su una bomba nucleare. Lo sapevano tutti ma si è fatto poco o nulla. Ora la bomba è scoppiata fra Fornovo e Varano, provincia di Parma, dove è stata ritrovata la carcassa di un cinghiale affetto da peste suina africana. Siamo dunque nel regno del prosciutto di Parma e dei vari salumi associati. Una catastrofe annunciata che proietta Langhirano, e i suoi stabilimenti, all’interno di una zona con un altissimo indice di rischio. Ed è il preludio al blocco delle importazioni da parte di molti Paesi. Il Canada in primis. Seguiranno anche gli Stati Uniti? Difficile fare previsioni.
Tutto è nelle mani della Commissione europea. Una riunione si terrà già oggi. Parteciperanno rappresentanti della regione Emilia Romagna e le aziende interessate. Sentiremo le proposte ma soprattutto quali linee guida verranno adottate. Si potranno macellare maiali provenienti dallezone a rischio? Si potranno affettare prosciutti provenienti dalle stesse zone? Ma soprattutto quale sarà il destino del prosciutto crudo di Parma? Con l’eventuale blocco delle esportazioni, i prezzi potrebbero crollare per l’eccedenza del prodotto.
Ma come si è arrivati a questa situazione? Appaiono evidenti le responsabilità delle istituzioni e del commissario governativo. Ma torniamo indietro di due anni. Tutto inizia nel 2022 quando in provincia di Alessandria viene scoperta la carcassa di un cinghiale infetto da Psa. Altre carcasse vengono ritrovate in Liguria e in alcune zone limitrofe del Piemonte. L’allarme si diffonde ma non basta a frenare l’invasione di ungulati infetti. Ben presto ben sette regioni vengono coinvolte. Il virus dilaga negli allevamenti di maiali in Lombardia, zona di Pavia. A nulla serve l’abbattimento di oltre 50mila animali. La Psa si estende e nel gennaio 2024 ecco le prime segnalazioni in Emilia Romagna, a Borgo Val di Taro. Con l’ultimo episodio fra Fornovo e Varano.
Un disastro annunciato dunque. Che coinvolge un settore, quello della salumeria, che quota un fatturato globale, con l’indotto, di circa 10 miliardi di euro. E dà lavoro a circa 60mila persone. Con una quota importante di export. Con le premesse di cui sopra il rischio di un default, con tutte le conseguenze associate, sembra tutt’altro che un’ipotesi remota. Un segmento della nostra economia con una storia millenaria, un vanto della cucina italiana, rischia di essere spazzato via in poco tempo.
Ma non si poteva fare qualcosa per boccare la diffusione del virus? È questo il punto. Due i commissari che si sono alternati alla gestione dell’emergenza: Angelo Ferrari, nel 2022, a cui è seguito Vincenzo Caputo, nominato nel febbraio del 2023. Ferrari, intervistato a suo tempo dal Quotidiano Sanità, aveva spiegato strategie e problematiche. “La strategia principale da seguire è, e deve continuare a essere, quella dell’eradicazione della malattia”, sottolineava il commissario. “Le armi principali a nostra disposizione per raggiungere l’obiettivo sono le reti di contenimento e il depopolamento dei cinghiali nelle aree infette. Ma c’è anche un’altra leva sulla quale mi sono fortemente battuto, ossia la ricerca all’interno delle Zone di Restrizione, delle carcasse, serbatoio principale di infezione: va effettuata soprattutto nella zona esterna alle reti, in questo modo permette di comprendere meglio come si muove la malattia, e con quale velocità. Soprattutto le carcasse vanno rimosse in sicurezza. Ma è anche importante l’attività di informazione e di formazione. Così com’è essenziale sostenere economicamente quel mondo produttivo che in questo momento, in particolare nelle zone infette e nelle zone di restrizione, è fermo”.
A proposito di risorse, così Ferrari chiosava: “Mancano all’appello più di 10 milioni di euro per proseguire con le attività di prevenzione e di eradicazione della malattia. Con le risorse messe precedentemente a disposizione, circa 10 milioni di euro, abbiamo posto più di 120 km di barriere, rispetto ai 144 previsti (pensiamo che in Belgio, nostro Paese di riferimento strategico, sono stati posti 350 km di reti), ed effettuato gli espropri necessari (le reti spesso devono essere posizionate su aree private). Ma ora i fondi disponibili sono finiti e, per concludere i lavori previsti, per riparare le barriere che hanno subito degli sfondamenti e per coprire i costi assicurativi, abbiamo chiesto al Governo, come già al precedente, 6.700.000 euro, ai quali vanno aggiunti 4 milioni per posizionare le nuove barriere necessarie a causa dell’espansione della malattia. Bisogna anche pensare a un ristoro per quegli allevatori che sono fermi da un anno e a risorse strategiche per favorire la biosicurezza negli allevamenti”.
Ecco il solito rimpallo fra competenze. Il commissario tira in ballo il Governo. Il Ministero passa la palla alle Regioni. Che poi arriva nelle mani dei veterinari. E qui si ferma. Percorso analogo, anzi peggio, con Vincenzo Caputo. Laureato con lode all’Università degli Studi di Napoli nel 1985, è direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale dell’Umbria e delle Marche dal 2021. Professore della facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Napoli Federico II, docente di numerosi master presso il Dipartimento di medicina veterinaria dello stesso Ateneo, Vincenzo Caputo è direttore Area sanità pubblica veterinaria della Asl 1 Napoli e del Centro di riferimento igiene urbana veterinaria della Regione Campania. Tutti titoli pomposi e interessanti ma, come diceva un vecchio politico molisano: “Che c’azzecca con la peste suina?”. In effetti poco o nulla è stato fatto. Basti pensare che 2 milioni di euro, stanziati dalla regione Emilia Romagna per le recinzioni, sono ancora bloccati dalla burocrazia. Insomma: chiacchiere e distintivo.
Eppure qualche caso di best practise c’è. In provincia di Cuneo, grazie all’azione di depopolamento dei cinghiali si è riusciti a creare una zona cuscinetto fra l’area infetta e il resto della zona. Killer application, diciamo le cose con il loro nome, e recinzioni che hanno funzionato. Diversamente accade in Emilia Romagna. Qui la lobby ambientalista e animalista ha messo i bastoni fra le ruote all’attività di depopolamento. “Il sistema migliore per eliminare i cinghiali è la caccia a braccata, con 20 cacciatori e 20 cani al seguito”, spiega Emiliano Occhi, consigliere regionale. “Un sistema che ha dato i suoi frutti in Liguria e Piemonte ma è stato bloccato dalla burocrazia e dall’assessore in Emilia Romagna”. Così la peste suina dilaga. A questo punto, dopo la carcassa infetta segnalata in provincia di Parma, e vista l’incapacità di bloccare l’avanzata del virus, mi sarei aspettato le dimissioni dell’attuale commissario.
Vincenzo Caputo invece rimane al suo posto. Inoltro allora al Ministero una sommessa proposta: non sarebbe meglio sostituirlo con un esperto del settore? Faccio anche un nome: Vittorio Guberti, ricercatore Ispra. Andate a leggere il suo curriculum vitae. Un’esperienza da vendere nella repressione della Psa.
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