di Tino Oldani. Più di 600 manifestazioni di piazza in mezzo mondo (550 in Europa, 75 negli Stati Uniti), unite dallo slogan «No al Ttip», hanno finalmente spinto anche i giornaloni a occuparsi del trattato commerciale di libero scambio tra Unione europea e Usa, in discussione dal 2013 e giunto ormai al nono round.
Per il Corriere della sera, neo paladino del Ttip, il negoziato rischia tuttavia di fallire, e se ciò accadrà, scrive Danilo Taino, la colpa sarà soprattutto di «opposizioni in gran parte ideologiche: antiamericane». Una posizione che sembra accomunare i soggetti più disparati, dal vicecancelliere tedesco, Sigmar Gabriel, fino al premier greco, Alexis Tsipras, visto che la Grecia ha da sempre una posizione ostile al Ttip. Ma più che opinabile, una divisione tra buoni e cattivi basata sull’antiamericanismo sembra al di fuori della realtà.
Lo stato dell’arte è ben diverso. Dopo il Fiscal compact, nessun Paese europeo accetta più di firmare un trattato a scatola chiusa. Nessun governo vuole più farsi condizionare da clausole demenziali, ideate da euroburocrati manovrati da Berlino, che, imponendo l’austerità, non hanno affatto risanato i bilanci, ma prodotto recessione, tasse a gogò e 25 milioni di disoccupati. Da qui il clima di sospetto che, sia a sinistra che a destra, ha accompagnato dall’inizio le trattative sul Ttip. Da qui la ricerca continua di trasparenza e di democrazia nella conduzione delle trattative, soprattutto dopo che le delegazioni ufficiali dei tecnocrati Usa e Ue hanno mostrato più volte di volere farne a meno.
È per questo, e non per antiamericanismo, che le trattative si sono rivelate più complicate del previsto. Il presidente Usa, Barack Obama, sperava di firmare il Ttip entro la fine dello scorso anno, per poterlo additare come un successo della propria presidenza. Anche la cancelliera Angela Merkel, inizialmente piuttosto fredda, si è schierata di recente a favore del trattato, con una scelta dettata da ragioni più geopolitiche che economiche, per non lasciare tutto il potere economico nelle mani del G2 (Stati Uniti e Cina). Ma neppure il supporto della Merkel ha sbloccato l’impasse. Anzi, se tutto andrà bene, i negoziatori ora puntano a chiudere le trattative entro il 2016, ma con speranze minime di successo.
Le difficoltà, come ItaliaOggi ha raccontato fin dall’inizio, vengono soprattutto dal fronte europeo, dove il pressing di centinaia di associazioni di tutela dei consumatori e di Ong (organizzazioni non governative), molto attive nel Nord Europa, hanno costretto un numero crescente di partiti che siedono nel Parlamento europeo a interessarsi alle trattative Ttip, che fino a pochi mesi fa erano condotte in totale segretezza. Ora i dossier del Ttip, conservati in una piccola stanza di sei metri quadri, sono teoricamente consultabili dai deputati europei. Ma con regole allucinanti: per evitare copiature, penna, bloc notes e cellulare vengono sequestrati a chi entra nella stanza dei dossier, mentre un funzionario controlla a vista.
Le associazioni contrarie al Ttip hanno raccolto in Europa più di un milione e mezzo di firme, di cui un milione in Germania (appena 20 mila in Italia, dove il tema è ignorato dal dibattito politico). L’adesione altissima non solo tra gli ambientalisti, ma anche tra i socialdemocratici tedeschi ha costretto il loro leader, Sigmar Gabriel, che è pure vicecancelliere e ministro dell’Economia, a distinguersi dalla Merkel: da qui l’opposizione di Gabriel alla clausola Isds (Investor state dispute settlement), che mirava a introdurre un arbitrato internazionale nelle dispute tra Stati e multinazionali, sbilanciato a favore delle multinazionali. Da qui l’immediato accodarsi dei socialisti francesi (ma non del Pd di Matteo Renzi). Da qui le delibere volte a condizionare il Ttip votate da alcune commissioni del Parlamento europeo, in vista di un voto finale dello stesso parlamento: se risultasse contrario, l’intero trattato resterebbe lettera morta. Idem se anche uno solo dei paesi Ue votasse contro.
Il clima, per ora, è questo: con 59 voti a favore, otto contrari e due astenuti, il 14 aprile la Commissione Ambiente, salute pubblica e sicurezza del cibo del parlamento europeo ha approvato una mozione che chiede di escludere dal Ttip cinque aree tematiche: i servizi di sanità pubblica, gli ogm (organismi geneticamente modificati), l’uso degli ormoni nel settore bovino, la legislazione chimica «Reach» e la sua implementazione, il cloning. Punti di totale dissenso con le multinazionali Usa, che li considerano tuttora basilari per aderire al trattato.
La maggioranza schiacciante registrata dalla Commissione Ambiente ha rivelato che il no al Ttip sta contagiando anche alcune frange del Ppe, il partito della Merkel e di Jean-Claude Juncker, che fino a ieri era dato per favorevole al trattato, senza se e senza ma. Così, incredibile a dirsi, quando si è ormai giunti al nono round delle trattative, il gruppo Ppe al Parlamento europeo ha convocato il proprio Ufficio di presidenza per discutere del Ttip. La riunione, precisa il sito del Ppe, si svolgerà a Milano questa settimana (23 e 24 aprile). Di certo, non per discutere di antiamericanismo, ma perché questa è la democrazia, bellezza.
ItaliaOggi – 22 aprile 2015