Quanto ci costa il cibo “cattivo”? Se per “cattivo” si intende dannoso per la salute, possiamo fare riferimento al grande scandalo europeo della “mucca pazza” che è costato ai contribuenti 92 miliardi di euro.
“Cattivo” è anche il cibo di scarsa qualità (junk food) di solito abbinato a stili di vita scorretti che determinano problemi di soprappeso. Le spese dirette e indirette per la lotta all’obesità riferite all’Europa dei 15 paesi ammontano a 40,5 miliardi di euro l’anno.
“Cattivi” sono anche gli alimenti che costano troppo per chi li compra ( da questo punto di vista la situazione è decisamente migliorata visto che negli anni sessanta una famiglia europea spendeva il 60% del reddito per gli acquisti alimentari, oggi siamo al 13%).
“Cattivo” può essere considerato il cibo che comporta un onere gravoso e quasi insostenibile per l’ambiente, perché penalizza indirettamente i cittadini.
Sulla base di queste considerazioni risulta particolarmente difficile definire e valutare il concetto di cibo “cattivo”. Possiamo però proporre una stima dell’Onu secondo cui l’impatto ambientale dell’agricoltura (escludendo le fasi di trasformazione e distribuzione) vale poco meno di 40 miliardi l’anno in Usa, più di 8 nel Regno Unito e circa 2 in Germania.
Il contributo dell’Europa a livello mondiale è rilevante, perché la spesa destinata alla produzione di alimenti sani e di qualità, realizzati con vincoli ambientali e rispettando il benessere animale ammonta a circa 50 miliardi di euro l’anno (importo assorbito dai fondi destinati alla Politica agricola comune europea, che gli addetti ai lavori indicano con l’acronimo Pac). In altre parole, considerando l’Europa a 27 paesi, la Pac costa ad ogni cittadino circa 2 € alla settimana.
Quantificare i benefici o gli svantaggi per ogni prodotto nei vari Paesi, in relazione ai finanziamenti e ai progetti della Pac è impossibile, perché l’intreccio dei provvedimenti è troppo complesso. Forse per questi motivi la voce di spesa considerata tra le più rilevanti nell’UE risulta pressoché sconoscono ai cittadini (57%).
Paradossalmente nella stessa indagine si dice che il 90% del campione considera l’agricoltura e l’ambiente rurale elementi vitali per l’Europa, e l’83% ritiene necessario sostenere gli agricoltori.
La Pac si è guadagnata una fama sinistra negli anni ottanta, quando il suo meccanismo di incentivazione premiava gli agricoltori in virtù della quantità di derrate prodotte. Il limite della strategia era che tonnellate di burro, milioni di ettolitri di vino, montagne di carne venivano prodotte in eccesso e stoccate nei magazzini. Da allora il sistema dei premi è stato progressivamente smantellato, a favore di una politica orientata a valorizzare la qualità, il rispetto di standard ambientali, sanitari e il benessere animale. Oggi Bruxelles vuole trasformare la Pac da “politica degli agricoltori” a politica di “tutti i cittadini europei” per un’agricoltura più verde e più rispettosa del paesaggio.
Le risorse finanziarie saranno quindi destinate alle aziende agricole più attente ai criteri di sostenibilità, mantenendo al contempo un profilo economico profittevole ed ecologico. La discussione adesso verte sui criteri del nuovo progetto e sull’investimento che gli Stati membri vogliono portare avanti in una situazione di crisi economica come quella attuale.
Rispondere quindi alla domanda su quanto costa il cibo cattivo e quanti problemi provoca indirettamente alla salute dei cittadini europei non basta. Oggi si deve rispondere alla sfida dei costi ambientali, al rischio di perdita della biodiversità e bisogna dire quanto si è disposti a spendere per salvaguardare la bellezza di un paesaggio.
Ilfattoalimentare.it – 26 marzo 2011