Stefano Simonetti, il sole 24 ore sanità. Nel proseguire l’analisi della Preintesa del Ccnl dell’Area della Sanità, provo oggi a cercare di comprendere la genesi e i contenuti di una delle norme più “strane” dell’intero contratto e, dicendo “strane”, sottintendo una variegata serie di aggettivi. Innanzitutto, sfido i destinatari del Ccnl – anche quelli più addentro a queste tematiche – a capire di cosa stiamo parlando. Se la stragrande maggioranza degli articoli riguarda tutti i dirigenti sanitari, i destinatari di questo art. 26 sono poche decine in tutta Italia.
L’articolo ha come titolo “Affidamento e revoca degli incarichi multi accesso” e si prefigge di disciplinare i casi in cui le Direzioni strategiche intendano affidare incarichi che non afferiscono elettivamente e inequivocabilmente a certe professionalità specifiche ma sono di natura trasversale cioè, come li definisce la norma, che “per le loro caratteristiche, possono essere conferiti a dirigenti appartenenti a più ruoli del servizio sanitario nazionale”. Quali essi siano e, soprattutto, quali siano le “caratteristiche” resta un mistero. Magari il Ccnl poteva precisare che questi incarichi devono essere indicati e declinati nell’Atto aziendale, anche in ossequio alle norme stringenti del decreto 502.
Veniamo al merito. Nel momento in cui le parti negoziali hanno ricordato “più ruoli”, si presenta il primo problema. Il Ccnl ha come destinatari un “solo” ruolo, quello sanitario dove sono collocati i dirigenti sanitari appartenenti a 8 professioni unitamente alle qualifiche dirigenziali infermieristiche e tecnico-sanitarie. Orbene, è evidente che la locuzione di cui sopra coinvolge i ruoli professionale, tecnico e amministrativo, mentre per il ruolo socio-sanitario, per carità di patria, è preferibile sorvolare. Quindi i dirigenti amministrativi, ingegneri, architetti, geologi (si, c’è anche il geologo), avvocati, analisti e statistici sono evocati come convitati di pietra in un contratto che non li riguarda. Già sarebbe sufficiente questa considerazione per ritenere la norma del tutto fuori contesto e, nello specifico, in contrasto evidente con l’art. 1, comma 1, del contratto stesso.
Come può una clausola contrattuale – norma giuridica a tutti gli effetti – disciplinare diritti e obblighi di soggetti che non sono formalmente ed espressamente destinatari del contratto collettivo? L’unica strada percorribile potrebbe essere quella di considerare l’art. 26 in “galleggiamento” fino a quando nel Ccnl dell’Area delle Funzioni locali non venga scritta una clausola omologa che possa consentire alle aziende una applicazione congiunta e coerente – nonché legittima – del principio del multiaccesso. E si spera che questa eventuale norma gemella sia scritta un po’ meglio, perché anche nei contenuti tecnici l’art. 26 fa acqua da tutte le parti.
Entriamo, dunque, ulteriormente nel merito. Nel primo comma si parla genericamente di “incarichi dirigenziali”, senza individuarne la tipologia. Alla luce dei requisiti richiesti, si deduce che si tratta degli incarichi di cui all’art. 22, comma 1, parte I, lettere a), b) e c) e cioè gli incarichi di direzione di struttura complessa, direzione di struttura semplice a valenza dipartimentale o distrettuale, direzione di struttura semplice quale articolazione interna di struttura complessa. Ritengo di poter escludere gli incarichi di natura professionale dal perimetro di applicazione di questa norma. A proposito, e per la precisione, ricordo che gli incarichi di struttura semplice non sono di “direzione” ma di “responsabilità” e la terminologia è blindata da una norma di legge (art. 15-terdecies, del d.lgs. 502/1992, voluto dal Ministro Veronesi nel 2000 per non confondere l’utenza). Per il conferimento delle due strutture semplici viene richiesto – ed è ribadito dall’art. 26 – che i candidati “abbiano maturato almeno 5 anni di servizio e che abbiano superato la verifica del collegio tecnico”. Per i dirigenti dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo il vigente contratto prescrive per il conferimento della struttura semplice l’unico requisito di aver superato il periodo di prova (art. 70, comma 1, lettera b, del Ccnl del 17.12.2020). Quindi, quando una azienda sanitaria bandirà un incarico di SS multiaccesso imporrà a un dirigente Pta un requisito diverso da quello che il Suo contratto impone. Mi potrei già fermare qui con le due rilevanti anomalie riportate. Ma c’è di più. Nel comma 2 si ipotizza il caso in cui l’incarico multiaccesso riguardi una struttura complessa. Ma è noto a tutti che l’accesso alle strutture complesse sanitarie avviene con una procedura di legge con indicazione esplicita della disciplina e si rivolge anche agli esterni in possesso dei requisiti, costituendo in tal senso un vero e proprio concorso pubblico. Tale circostanza ha evidentemente colpito tardivamente gli estensori della norma, perché nel testo del 28 settembre è stato inserito l’inciso “ferme restando le relative procedure di cui all’art. 24” che era assente nella bozza di alcuni giorni prima. Ma non sono le procedure di cui all’art. 24 a essere “ferme” bensì, ovviamente, quelle legali sancite dall’art. 15, comma 7-bis, del Dlgs 502/1002, novellato prima nel 2012 dalla legge “Balduzzi” e, infine, nel 2022 dalla legge “Concorrenza”. Appurato che l’art. 24 non disciplina alcuna procedura perché rinvia semplicemente alla legge, mi chiedo come possa un dirigente amministrativo o un ingegnare partecipare ad un avviso che viene bandito per discipline sanitarie. In conclusione, si deve rilevare che i dirigenti Pta, se si tratta di una struttura complessa, non possono partecipare perché ontologicamente esclusi dalla legge mentre, per concorrere ad una struttura semplice, viene loro chiesto un requisito estraneo al proprio ordinamento. Logica e buon senso fanno a questo punto ritenere che l’art. 26 riguardi soltanto il ruolo sanitario: ma allora che bisogno c’era di scriverlo? Si potrebbe plausibilmente pensare che la norma serva da un lato a garantire sempre e comunque le indennità citate nel comma 2 e dall’altro a produrre effetti di regolarizzazione di decine di situazioni che già esistono da anni.
A questo punto sembra quasi indispensabile fare un passo indietro e inquadrare giuridicamente questo benedetto “multiaccesso”. Cominciamo con verificare la matrice politica di questo istituto così particolare. Si potrebbe dire che l’esigenza di prevederlo provenga dalla parte datoriale. Infatti, nell’Atto di indirizzo del 13 dicembre 2022, proprio alla ultime righe, si può leggere che “Il contratto nazionale dovrà, infine, prevedere una figura professionale con possibilità di multi-accesso, nella quale l’assegnatario mantiene il ruolo di inquadramento e utilizza le risorse dei fondi contrattali di appartenenza. Tale figura, in particolare, dovrà riguardare il Dirigente ambientale anche in un’ottica di gestione unitaria dei fondi contrattuali nella relativa area di appartenenza”. Innanzitutto è stata bypassata l’indicazione di creare una specifica e nuova figura. Ma l’aspetto più inquietante è la citazione del Dirigente ambientale rispetto al quale non si può non ricordare il pasticcio – è un eufemismo, ovviamente – combinato nel contratto collettivo del 2019 con il surreale art. 21 che venne poi praticamente riscritto. Per chiudere ogni polemica su questa figura, basti ribadire che il Dirigente ambientale è un profilo del ruolo tecnico ed è, a tutti gli effetti, disciplinato dall’art. 72 del Ccnl dell’Area delle Funzioni locali del 17.12.2020. L’indicazione delle Regioni su questa problematica è stata inserita con identiche parole anche nell’Atto di indirizzo per l’Area delle Funzioni locali del 28 giugno 2023 (pag. 4). Per questo ho ipotizzato all’inizio che una ipotetica applicazione dell’art. 26 deve essere armonizzata con quella che sarà contenuta nella sezione speciale Pta del prossimo Ccnl dell’Area delle Funzioni locali.
Fino a ora il concetto stesso di “multiaccesso” rientrava soltanto nel perimetro della normativa concorsuale. Nell’ordinamento giuridico della Sanità pubblica, l’unico caso di accesso alla disciplina con specializzazioni fra loro diverse è quello espressamente previsto art. 57 del DPR 483/97, collocato alla fine del capo I (diretto alla sola dirigenza del ruolo sanitario) e prima del capo II, III e IV (che disciplinano i requisiti di accesso ai ruoli professionale, tecnico ed amministrativo). È chiaro dunque che nell’esclusivo ambito delle discipline di cui all’art. 4 del DPR 484/97 (e cioè unicamente le discipline di cui alle tabelle di equipollenza adottate dal ministero della Sanità) è possibile prevedere una selezione con requisiti di accesso multidisciplinare o pluricategoriale. Si tratta, in pratica, di consentire un’unica procedura selettiva, ad esempio, a psicologi e psichiatri oppure a biologi e patologi clinici su funzioni di strutture polivalenti. I contratti collettivi in 25 anni non hanno mai toccato tematiche del genere ma è indiscutibile che sul campo sono sempre esistite situazioni che, di fatto, hanno realizzato tale coesistenza. Da tempo i Direttori generali attribuiscono incarichi dirigenziali, anche di struttura complessa e di coordinamento dipartimentale, a sanitari assunti come biologi, psicologi, psichiatri, chirurghi, igienisti, veterinari, cardiologi, radiologi, ecc. ecc., per dirigere strutture e svolgere funzioni quali controllo di gestione, qualità, programmazione (anche non sanitaria), formazione, relazioni sindacali, Urp e relazioni pubbliche, accreditamento, sistemi informativi, tutte funzioni gestionali che tipicamente sono di natura tecnico/amministrativa o che, in ogni caso, non sono correlate a una disciplina tabellata dal ministero della Sanità e per la quale hanno vinto il concorso di assunzione. Le ragioni di queste scelte strategiche non interessano ma sostanzialmente si tratta di incarichi fortemente orientati al rapporto fiduciario e, in misura minore, di misure per ricollocare dirigenti inidonei fisicamente. Se si trattasse di una valutazione della discrezionalità dei Direttori e del loro stile direzionale e manageriale, alla fine non ci sarebbe granché da eccepire. Tuttavia, sorgono per forza alcune considerazioni di carattere generale, oggi ancor più rilevanti per la diffusa e cronica mancanza di medici. Quando si affida un incarico “multiaccesso”, non solo si sguarniscono reparti e ambulatori di personale specificatamente assunto ma si affidano complesse funzioni gestionali amministrative a personale non adeguatamente preparato, formato e valutato: se, a titolo personale, un singolo dirigente sanitario spicca per competenze trasversali e attitudini manageriali – e personalmente ne ho conosciuti a decine – la circostanza del tutto eccezionale non può essere elevata a regola generale e continua a costituire una deroga nel sistema; deroga che, come dicevo sopra, forse l’art. 26 intende sanare. Infine, non si può ignorare, e il Ccnl in firma lo afferma chiaramente, che si continua ad erogare a tale personale sanitario emolumenti finalizzati all’attività di cura, assistenza e prevenzione quale l’indennità di specificità medico-veterinaria e l’indennità di rapporto esclusivo che costituiscono trattamento economico fondamentale specifico e peculiare della sola dirigenza sanitaria e basta leggere le relative norme contrattuali per verificare le finalità e il sinallagma che sono alla base di queste indennità.