Nella fusione con l’Inpdap è passato all’Inps anche un enorme passivo patrimoniale
di Antonio Signorini. Oltre al debito commerciale, cioè ai soldi che le amministrazioni pubbliche devono alle imprese, c’è un altro debito che non emerge nei conti pubblici. Sono circa 23 miliardi di buco previdenziale della gestione degli ex lavoratori pubblici, anche questo un rosso di Stato a tutti gli effetti, magicamente scomparso dallo stock del debito pubblico ufficiale nel 2007, grazie ad una finanziaria del governo Prodi. Che ora mette in pericolo la previdenza (compresa quella privata) perché grava sui conti dell’Inps.
A riportare il caso sotto i riflettori è stato Antonio Mastrapasqua in una lettera inviata nei giorni scorsi ai ministri dell’Economia Vittorio Grilli e del Lavoro Elsa Fornero. Il presidente dell’Inps ha dato l’allarme sui conti 2013. Come era già successo nel 2012, la fusione con l’Inpdap si fa sentire sul bilancio Inps.
L’istituto di previdenza degli statali ha portato in dote a quello dei privati un passivo patrimoniale di 23,7 miliardi di euro.
Le cause sono note. Oltre a una cattiva gestione delle pensioni di Stato (negli anni scorsi erano stati denunciati addirittura casi di amministrazioni pubbliche che non pagavano i contributi dei dipendenti), c’è il blocco del turn over (meno contributi e più pensionati da pagare). Poi i trasferimenti dell’amministrazione centrale alla gestione delle pensioni pubbliche, sforbiciati dalle manovre recenti.
Ma il buco si spiega anche con una trucco contabile che assomiglia molto allo scandalo del debiti della pubblica amministrazione verso le imprese. Se, fino al via libera della Commissione europea, i crediti scaduti delle aziende e dei professionisti non venivano pagati era anche per non fare emergere nuovo debito pubblico. Allo stesso modo, con la finanziaria del 2008, firmata dal Romano Prodi, i disavanzi della previdenza pubblica sono stati trasformati da passivo dello Stato al suo opposto, cioè un credito che lo Stato vanta nei confronti dell’Inpdap. Scomparsi dal deficit e dal debito pubblico, a beneficio del rispetto dei patti Ue; ma emersi nei bilanci prima dell’istituto di previdenza dei pubblici, poi, con la fusione, anche in quelli dell’Inps. Che vive di contributi di aziende e lavoratori. Alla fine, insomma, il conto lo pagano i privati che hanno i conti delle pensioni in regola (per dare una misura secondo il Def da qui al 2050 le riforme delle pensioni faranno risparmiare una cifra vicina ai mille miliardi di euro) ma si ritrovano un istituto di previdenza con un bilancio in rosso.
La legge del 2007 è un aiuto non da poco ai conti pubblici, ma un macigno su quelli previdenziali. Il disavanzo patrimoniale dell’Inpdap vale quasi l’1,5% del Pil. Poco meno, per dare una misura, del fondo che il governo ha messo a disposizione degli enti pubblici per saldare i debiti commerciali (quello da 26 miliardi), molto più della compensazione tra crediti e debiti che la Ragioneria dello Stato ha cercato di frenare in ogni modo.
Mastrapasqua ha chiesto ai ministri di intervenire. Ma è difficile che il governo se ne faccia carico, soprattutto quello Monti in carica per gli affari correnti e già alle prese con una situazione delle finanze pubbliche difficile. A fare emergere il caso nei giorni scorsi è stato un sindacato di base, l’Usb, secondo il quale è a rischio «la più grande operazione di razionalizzazione del sistema previdenziale pubblico». Per questo chiede quindi l’intervento dei ministri Grilli e Fornero. Peccato che i sindacati (non l’Usb che non era nato) rappresentati nel comitato di vigilanza dell’Inpdap, nel 2007 non si opposero e approvarono l’operazione del governo di centrosinistra che trasformò i debiti dello Stato in un rosso che grava sulle pensioni dei lavoratori.
Il Giornale – 15 aprile 2013