Hanno tutti ragione. Almeno a sentire le parti in causa. Ha vinto «Finanza e Progetti», la società che ha promosso il project financing del nuovo policlinico di Padova, perché il Tar ha annullato le delibere del Comune e della Regione che avevano bloccato l’iter del progetto. E hanno vinto pure il Comune e la Regione perché il Tar non ha preso in considerazione la richiesta di risarcimento monstre avanzata dalla società, 156 milioni di euro capaci di far tremare i polsi anche al politico più determinato.
Il risultato, comunque la si voglia vedere, resta quello: si torna al punto di partenza e la parola fine, nell’annosa querelle sul «nuovo ospedale del Veneto e dei veneti» (come ama chiamarlo il presidente Luca Zaia), è ben lungi dal profilarsi all’orizzonte.
Dopo l’udienza del 22 aprile, la sentenza dei giudici di Venezia è stata depositata ieri e comunicata agli avvocati dei contendenti, nomi notissimi tra gli amministrativisti veneti, a riprova della delicatezza della battaglia legale: Domenichelli, Bigolaro, Sala, Leoni e Zambelli per «Finanza e progetti» (joint-venture tra Palladio Finanziaria e l’australiana Lend Lease); Zanon e Sutti per la Regione; Barel e Calì Ciraso per l’azienda ospedaliera (mai sfiorata nella sentenza da alcun accenno di responsabilità); Segantini, Lorigiola, Menorello, Lotto e Mizzoni per il Comune; Cacciavillani per l’Istituto oncologico Veneto. Nelle 12 pagine del dispositivo vengono ricordate le tappe principali di una vicenda che affonda le sue radici nel lontano 2006, in piena epoca Galan, quando a Palazzo Balbi furono approvati una serie di provvedimenti culminati l’anno successivo nell’adozione della pianificazione ospedaliera che stabilì la necessità del nuovo policlinico. Il 30 marzo 2012 «Finanza e Progetti» presentò il project financing e il 2 luglio del 2013, sulla base di quella proposta, Regione, Comune, Provincia, università di Padova e Istituto oncologico sottoscrissero il protocollo per la costruzione del nuovo policlinico, concordando sul fatto che l’area migliore in cui realizzarlo fosse quella di Padova Ovest, così come stabilito dal Pati adottato dal Comune nel 2008.
Attorno a quel protocollo ruota buona parte del ricorso predisposto dall’avvocato Domenichelli e dal collegio di «Finanza e progetti»: perché su quell’accordo la società aveva fatto affidamento (presumendo che la parola data dagli enti pubblici poi sarebbe stata mantenuta) e perché a detta dei legali le delibere con cui il sindaco di Padova Massimo Bitonci ha imposto lo stop nel 2014, subito dopo la sua elezione, motivate con l’instabilità idrogeologica di Padova Ovest, l’impoverimento della città nel caso di spostamento dell’ospedale in periferia, l’incompatibilità con le lezioni degli studenti di medicina, sarebbero viziate da «eccesso di potere sotto il profilo dell’irragionevolezza e incongruità manifeste, nonché dell’erroneità dei presupposti di fatto e di diritto». È noto che Bitonci avrebbe preferito ristrutturare la struttura esistente o eventualmente costruirne una ex novo a Padova Est.
Di pari passo, «Finanza e Progetti» aveva impugnato anche le delibere «conseguenti» della Regione, quelle con cui il presidente Zaia, preso atto del niet del Comune, sospendeva l’azienda ospedaliera dal ruolo di stazione appaltante e cancellava la dichiarazione di interesse pubblico, indispensabile per andare oltre. Ma «la localizzazione urbanistica» era elemento sufficiente a far decadere tutti gli altri parametri relativi all’interesse pubblico riconosciuto a suo tempo? E la Regione, prima di accodarsi al no del Comune, non avrebbe dovuto confrontarsi con «Finanza e Progetti» per individuare possibili soluzioni alternative o modifiche al progetto iniziale, visto anche l’investimento fatto fino a quel momento dalla società (22 milioni solo per le fidejussioni, poi nel ricorso ci sono 133 milioni di «perdita di chance» e altri 68 milioni, non rientranti nella richiesta di risarcimento, per gli obblighi derivanti dall’ipotizzata concessione trentennale)? Con riferimento a questi aspetti, il Tar ha dato ragione su tutta la linea alla società, accogliendo il ricorso per «difetto di istruttoria» e «difetto di motivazione». «Nelle delibere comunali e regionali impugnate – scrivono i giudici – non risultano le dovute valutazioni di competenza in ordine all’idoneità degli accorgimenti tecnici proposti dalla società al fine di proteggere il futuro polo ospedaliero dai rischi idrogeologici insistenti sull’area» e risolvere gli altri problemi sollevati dal Comune, dal danno al commercio a quello alla didattica universitaria. Il Comune avrebbe «manifestato il proprio ripensamento senza aver svolto alcuna consultazione con le altre parti coinvolte» mentre la Regione «si è soltanto limitata a prendere atto di tale ripensamento, senza svolgere alcuna considerazione quanto meno sotto i profili di propria competenza».
Le domande di risarcimento (presentate da «Finanza e Progetti» contro Regione e Comune, ma anche dalla Regione contro il Comune e viceversa, perché di fronte a 156 milioni tutti hanno preferito cautelarsi, al di là delle sintonie politiche) «non possono trovare accoglimento perché questo tipo di annullamento, per «difetto d’istruttoria e motivazione», può solo portare al riesame dell’atto. Cosa che, assicurano Comune e Regione, avverrà prestissimo. E stavolta in modo più che esaustivo: le delibere saranno «blindate» e metteranno fine una volta per tutte ad una vicenda che, a detta di tutte le parti, si sta oramai trascinando da troppo tempo.
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 26 maggio 2015