Fosse per lui, tirerebbe il freno di emergenza e lo farebbe scendere subito, anche in aperta campagna. «Se Mauro Moretti avesse il coraggio e la dignità di andarsene, troverebbe milioni di italiani pronti ad accompagnarlo a casa: sono tutti quei passeggeri costretti a viaggiare su treni vecchi e ad usare stazioni decrepite e poco sicure, senza nessun rispetto per la loro dignità», ha dichiarato con la consueta franca durezza Diego Della Valle, a proposito del minacciato addio dell’amministratore delegato delle Ferrovie, nel caso in cui, in nome della spending review governativa, il suo stipendio da supermanager venisse tagliato.
«Spetta a loro il diritto di giudicare come le Ferrovie dello Stato sono gestite». Malissimo è l’avverbio sottinteso e nemmeno troppo.
Più conciliante nei toni che nella sostanza, il premier Matteo Renzi conta che l’ad torni a più miti consigli (e non solo lui, ma tutti i supermanager dallo stipendio d’oro) e abbassi le pretese. E ribadisce che su questo punto non si schioda: «Noi non molliamo», ha ribadito ieri sera al Tg1. Conta sul pressing. «Resisteranno a parole, ma poi ovviamente è naturale che le cose cambino. Non è possibile che l’ad di una società guadagni mille volte più dell’ultimo operaio, torniamo ad un principio di giustizia sociale».
Il patron della Tod’s, nonché socio di Ntv, diretto concorrente delle Fs, invece non ha dubbi su quale dovrebbe essere il futuro professionale del sessantunenne Cavaliere del Lavoro Mauro Moretti: il pensionamento immediato. «E’ ora di alzare il velo sulle Ferrovie e su Moretti, per capire perché il Palazzo è succube di questo signore. Bisogna fare chiarezza su tutti i rapporti che intercorrono tra lui e i politici che, tranne qualche rara eccezione, sono completamente appiattiti su di lui, permettendogli di fare tutto ciò che vuole». Sebbene, proprio ieri, il ministro di riferimento Maurizio Lupi, titolare dei Trasporti, abbia detto che, se proprio non è contento e ha chi gli offre di più, Moretti può tranquillamente andare via.
Fosse al suo posto, Della Valle lo avrebbe già liquidato. «Se vogliamo davvero cambiare l’Italia e riportare al centro dell’attenzione gli interessi e i bisogni dei cittadini e non quelli delle vecchie corporazioni, gente come Moretti deve essere mandata a casa subito e con determinazione». Senza rimpianti. «Con chiarezza e onestà va fatto sapere ai cittadini quanto costa loro mantenere una società come le Ferrovie dello Stato e se è giusto pagare al suo ad lo stipendio che percepisce, a fronte dei servizi che fornisce a chi viaggia». Quegli 873 mila euro all’anno — comunque pochi, secondo l’interessato — che nei piani di Renzi dovrebbero ridursi a 239 mila, poco più di un quarto.
Forse conoscendone il carattere fumantino, Guglielmo Epifani, ex segretario di Pd e Cgil, ospite di Lucia Annunziata a In ½ ora , offre a Moretti «un consiglio, anche se lui fa sempre di testa sua. Si deve tagliare lo stipendio ma resti e non dia soddisfazione ai tanti che non lo vogliono più alla guida delle Fs. Perché il suo valore sul mercato è alto, ma la domanda che arriva dal Paese è di sobrietà e anche chi ha grandi responsabilità deve sottostarvi». Pier Ferdinando Casini ne fa una questione di capacità, non solo di soldi, perciò lo difende: «Uno Stato che non sa distinguere tra lo stipendio di Moretti, che ha fatto un ottimo lavoro e quello di decine di dirigenti nullafacenti di società pubbliche, non potrà mai riformarsi seriamente», sostiene il leader dell’Udc su Facebook. «Evitiamo roghi e falò. Cacciamo gli incapaci e teniamo i dirigenti preparati». La sproporzione tra i redditi va bilanciata, conferma il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso: «La forbice fra le retribuzioni dei manager e quelle dei lavoratori è davvero incomprensibile».
Mentre il presidente dell’associazione dei consumatori Adusbef, Elio Lannutti, se la prende equamente con Moretti: «Ha risanato le Ferrovie privilegiando l’Alta velocità e il Centro-Nord a danno dei treni locali e del Mezzogiorno», e con della Valle: «Non l’ho mai incontrato su quei treni fatiscenti, si erge solo oggi a paladino peloso dei pendolari».
Giovanna Cavalli – Corriere della Sera – 24 marzo 2014