Roberto Giovannini, la Stampa. Noi cittadini non lo sappiamo, ma a ben vedere in Italia le leggi sono un «optional». Normalmente le leggi bisogna rispettarle, nonostante gravi conseguenze: lo sanno bene i tanti «esodati», i lavoratori che lasciarono il posto per poter andare in pensione, e che vennero bloccati senza assegno e senza lavoro dalla riforma Fornero. In questo caso la legge si rispetta scrupolosamente. Ma in alcuni casi si scopre – come è capitato a un lettore del nostro giornale – che una legge regolarmente approvata dal Parlamento sia tranquillamente disapplicata.
Che chi debba rispettarla la definisca «formalmente in vigore». Con il risultato che una persona che ha lavorato 43 anni versando regolarmente i suoi bravi contributi – disgraziatamente, un po’ all’Inps, un po’ a una cassa professionale «autonoma» – si trovi da oltre un anno senza lavoro e senza pensione, in attesa che chi di dovere si decida a rispettare e applicare questa legge «optional».
La storia che racconta il nostro lettore, abbiamo scoperto, è tutt’altro che un caso isolato: riguarda diverse centinaia di persone ogni anno, e una platea potenziale globale di decine di migliaia di cittadini. Il signor C. T., torinese, 60 anni e da due disoccupato, ha cominciato a lavorare a 15 anni e mezzo. Come succede a sempre più lavoratori, ha cambiato in tanti anni mestiere e professione, e anche le casse previdenziali di riferimento. Quella che viene definita una «carriera discontinua». E nel corso di ben 43 anni di lavoro ha versato contributi all’Inps ma anche per molti anni a una cassa professionale autonoma, quella dei giornalisti. Nella scorsa legge di Bilancio il Parlamento ha approvato una norma che permette finalmente di cumulare pienamente due o più diverse tipologie di contribuzione (un meccanismo che insieme alla ricongiunzione e alla totalizzazione permette di valorizzare le carriere discontinue e i versamenti in casse diverse), e il nostro lavoratore ha presentato regolare domanda di pensionamento. Tuttavia, dopo un anno di attesa, ancora niente pensione: alle sue richieste di spiegazione, comprensibilmente sempre più angosciate, gli è stato detto che mancherebbero delle circolari da parte dell’Inps o del ministero del Lavoro che sole permetterebbero l’applicazione della legge.
Ma le cose non stanno così. Come spiega Maria Luisa Gnecchi, deputata del Pd e una tra i firmatari della norma che ha permesso l’estensione dei criteri del cumulo previdenziale, «non c’è bisogno di alcuna circolare. Bisogna soltanto applicare la legge». Che non viene applicata, perché le casse professionali (avvocati, medici, farmacisti, giornalisti e altre ancora) fanno di tutto per disapplicare una legge che sin dall’inizio hanno osteggiato. Una volta, infatti, questi periodi contributivi «perduti» restavano nelle casse dei fondi autonomi; più di recente, prima della nuova legge, i lavoratori erano costretti per poterli usare a dover sborsare moltissimi soldi. Nel 2011, una dipendente pubblica di 57 anni con 40 anni di contributi si vide chiedere addirittura 600 mila euro. Con la riforma del 2016, le casse sono tenute invece a liberare queste risorse senza alcuna pretesa. Una questione che riguarda in particolare i lavoratori che cumulando i contributi, e riuscendo a segnare più di 18 anni di contribuzione entro il 1995, potrebbero avere tutta la pensione calcolata con il sistema retributivo, più favorevole per i lavoratori e più oneroso per le casse previdenziali. Ecco dunque che da circa un anno le casse fanno ostruzionismo: Alberto Oliveti, presidente della Fondazione Enpam (medici), ha definito la legge «formalmente in vigore», e ha detto che l’Enpam l’applicherà solo quando l’Inps o la fiscalità generale si farà carico dei maggiori oneri per le casse professionali. Cosa che naturalmente mai avverrà.
Non si tratta di pochi casi, ma di molte decine di migliaia di lavoratori che hanno carriere discontinue. Per fare un esempio pratico, ormai è normale che un medico lavori alcuni anni in una clinica privata, altri in un ospedale pubblico, e altri ancora come libero professionista. Nulla di più facile che finire per lavorare 50 anni, e non avere il diritto di andare in pensione senza sborsare centinaia di migliaia di euro. Da mesi Gnecchi, insieme a parlamentari di tutti i gruppi, ogni settimana presenta un’interrogazione al governo, che però non dà mai risposte risolutive. E la legge sul cumulo gratuito continua a essere un’optional.
La Stampa – 27 settembre 2017