Con il Consiglio dei ministri di ieri il pallottoliere della riforma Madia incassa un’approvazione definitiva e due via libera in prima lettura: il conteggio si aggiorna quindi a 11 capitoli per i quali il cantiere delle regole si è chiuso del tutto, tre per i quali è ancora in corso dopo la riapertura forzosa imposta dalla Corte costituzionale e sei ancora da affrontare, al cui interno trova spazio anche qualche tema “minore” probabilmente destinato a cadere. Senza l’intervento della Consulta il conto sarebbe ormai salito a 16 provvedimenti attuati in via definitiva.
Quando si guarda al numero dei decreti, insomma, l’indicatore viaggia oltre la metà, ma se il calcolo prova a misurare il peso specifico dei temi la situazione cambia: le partite più importanti, con la riforma del pubblico impiego e l’avvio vero e proprio del «taglia-partecipate», sono ancora da affrontare, e il colpo inferto dalla Corte costituzionale ha fatto cadere le nuove regole sulla dirigenza e la liberalizzazione dei servizi pubblici. Il governo ha intenzione di recuperare con legge ordinaria almeno la riforma del trasporto locale, che occupava larga parte del decreto inciampato sulla Consulta proprio alle porte del Consiglio dei ministri, ma resta da capire se ci saranno gli spazi politici e parlamentari per farlo.
Calendario ed equilibri nell’attuazione dipendono dalla strategia iniziale scelta ai tempi della delega, finita sulla Gazzetta Ufficiale del 13 agosto 2015, che ha deciso di avviare i lavori dedicandosi a temi più leggeri e settoriali, rimandando al finale i colpi più grossi. Strategia rischiosa in un ambiente politico strutturalmente incerto come quello italiano, che infatti porta ad affrontare la sfida chiave della riforma del pubblico impiego nei giorni percorsi dalla tempesta nel Pd e dai venti elettorali scatenati dalla vittoria dei «no» al referendum.
Il barometro segnava invece tempo stabile nel giugno del 2016, quando a 10 mesi dalla legge delega è arrivato l’esordio operativo con l’entrata in vigore dell’«accesso civico generalizzato». Battezzato «Foia» per rimarcarne l’ambizione anglosassone con il richiamo al Freedom Of Information Act, il decreto sulla trasparenza punta a ribaltare la logica della trasparenza all’italiana, fissando la regola che tutto è accessibile a tutti salvo eccezioni dettate dalle esigenze di concorrenza o sicurezza dello Stato. Ma tra eccezioni, formalismi e resistenza passiva della macchina burocratica, la sfida è ancora da vincere anche perché passa attraverso un cambiamento di cultura amministrativa oltre che di norme.
Un mese dopo, a luglio, è stata la volta dei licenziamenti sprint per gli assenteisti, tornati giusto ieri sul tavolo del Consiglio dei ministri per rimediare ai buchi aperti dalla Consulta. In quel caso, l’accelerazione era arrivata dopo il «caso-Sanremo», quando il governo decise di dare una risposta immediata alla ridda di immagini di dipendenti più o meno sommariamente abbigliati che timbravano il cartellino senza poi andare in ufficio. Dopo quella prima incursione, però, il terreno delicato del lavoro pubblico, pilastro inevitabile per una riforma complessiva della Pa, è rimasto minato.
L’estate e l’autunno del 2016 sono stati infatti dominati da uno scontro sordo fra governo e vertici amministrativi sulla riforma della dirigenza, tramontata in extremis per il colpo arrivato dalla Corte costituzionale dopo una battaglia condotta con toni inediti nei compassati uffici dei ministeri.
Per il resto, con le eccezioni importanti ma limitate di Camere di commercio e Corpo forestale, la gestione del personale rimane tutta da affrontare, sia nella pubblica amministrazione sia nelle società controllate: il decreto correttivo sulle partecipate appena approvato in prima lettura allunga fino a giugno i termini per individuare gli esuberi, ma resta aperto il confronto sulle modalità con cui le Regioni e gli enti locali potranno gestirli all’interno della loro programmazione.
Oltre a questo, l’agenda scritta nella delega prevederebbe anche la riorganizzazione della presidenza del consiglio e dei ministeri, la ridefinizione della geografia delle Prefetture e la riforma di Aci e pubblico registro automobilistico: ma il 28 marzo, data ultima per ottenere almeno la prima approvazione dei decreti attuativi, si avvicina a grandi passi.
Il Sole 24 Ore – 18 febbraio 2017