Si chiama Pickle, piccolina e bianca, disponibile anche solo per una passeggiata di poche ore. Contattare Kirsten, la proprietaria. Cuccioli e cani di tutte le taglie affittasi. L’annuncio è ricavato dal sito Bark’n’Borrow, seguito da 70 mila iscritti. È una start-up fondata nel 2014 da Liam Berkeley, un australiano trapiantato a Los Angeles.
Ha creato quasi un’associazione senza scopo di lucro. Liam scrive nella presentazione che è «una comunità per amanti dei cani». Funziona come un sito per incontri: le foto sono degli animali prestati dai padroni a tutte le persone che non possono comprarne uno o che non hanno uno spazio dove tenerli. Gli affiliati versano una quota mensile che parte da 4,99 dollari; possono prendere gratuitamente il cane in prestito anche per una mezza giornata, lo portano al parco, si divertono, poi lo restituiscono. Tutto qui, senza impegno. Il fenomeno del rent a dog è già esploso in Giappone e ora si sta diffondendo rapidamente negli Stati Uniti. Tra molte discussioni. Da una parte i favorevoli. L’argomentazione è quella che ha spinto Liam Berkeley: 44 milioni di americani ospitano un amico a quattro zampe, ma è giusto dare questa gioia anche a chi, per motivi di lavoro, di soldi, non se lo può permettere. Dall’altro versante diverse associazioni per la difesa dei diritti degli animali e molti psicologi obiettano che in questo modo i cani vengono trattati come beni di consumo usa e getta, mentre i bambini si abituano all’idea che qualsiasi cosa, anche l’affetto di un animale, possa essere noleggiato con grande facilità e superficialità.
Ma questo confronto sui principi, sui sentimenti e sull’educazione è nei fatti già superato dalla logica del business. Sono decine le agenzie di servizi che affittano esemplari di tutte le razze a prezzi variabili. Una delle più conosciute, Flexpetz, ha aperto uffici a Los Angeles, New York, Washington, Boston e anche Londra. Il meccanismo è sempre quello dell’ordinazione online. Il sito What it Costs in un articolo del 2016 ha fatto un po’ di conti. Le tariffe sono decisamente robuste: 99,95 dollari solo per entrare nel circuito, più altri 150 dollari per un corso informativo obbligatorio e poi la quota mensile di 49,95 dollari e, infine, 24,95 dollari per ogni giorno effettivo di noleggio (39,95 nel fine settimana). Secondo la rivista Business 2.0 Magazine , i partecipanti a un servizio di dog sharing spendono in un anno circa 1.500 dollari, contro i 3.000 necessari per acquistare e mantenere il proprio cane, visite veterinarie comprese.
Esiste, poi, un mondo più opaco, dove la speculazione è la regola, come dimostra la storia raccontata due giorni fa dall’agenzia Bloomberg. Qualche tempo fa una donna di San Diego, Dawn Sabins, decide di regalare un cucciolo a suo figlio di 7 anni. Entra in un negozio di animali e ne esce con uno splendido golden retriever, oltre che con 2.400 dollari in meno. Qualche settimana dopo, però, i Sabins ricevono un conto da 5.800 dollari. Tornano dal rivenditore a chiedere spiegazioni. «Voi non lo avete comprato, avete sottoscritto un contratto di leasing» è la risposta. Dawn aveva firmato una carta che la impegnava a versare una rata di 165 dollari al mese per 34 volte. Solo alla fine del periodo avrebbe avuto l’opzione di diventare la proprietaria del golden retriever, versando comunque altre due mensilità.
Al di là di ogni considerazione il ricarico degli interessi è micidiale: pari al tasso annualizzato del 70%. Percentuali da strozzini. E anche il formulario è a tono: se il debitore salta una scadenza, scatta il recupero crediti. Un emissario della società, la Wags Lending, passerà a riprendersi «il bene locato».
Giuseppe Sarcina – Il Corriere della Sera – 5 marzo 2017