Non riusciamo ad assumere tracciatori. I soldi ci sono, i posti anche, il fabbisogno è enorme, manca solo la firma sul contratto. Quella firma non arriva. E il risultato è che oggi, nel pieno della seconda ondata, ci sono 49mila italiani che si sono messi a disposizione dei Dipartimenti di prevenzione sanitaria per aiutare nelle indagini epidemiologiche eppure le Regioni non li stanno chiamando. Gli elenchi dei nomi sono chiusi nei cassetti degli assessorati, soffocati dalla burocrazia che non lesina lentezza neanche in queste settimane di emergenza massima.
Sono medici, infermieri, assistenti sanitari, tecnici della prevenzione, studenti universitari in discipline infermieristiche e sanitarie, diplomati volenterosi. Al 6 novembre sui 2.000 assumibili (ma, vedremo, potrebbero essere molti di più) ne sono stati contrattualizzati appena 428. Un quinto. La maggior parte delle Regioni è a quota zero. Come è possibile? Governo e Istituto superiore di sanità non hanno detto che il contact tracing è in default proprio perché mancano operatori nelle task force delle Asl?
Questa ennesima disfunzione della macchina pubblica origina il 24 ottobre. Quel giorno la Protezione civile, su richiesta del ministro delle Autonomie, Francesco Boccia, e di quello della Salute, Roberto Speranza, pubblica un bando (ordinanza n. 709) per il reperimento urgente di forze da impiegare nel tracciamento: 1.500 tra medici, tecnici e infermieri e 500 amministrativi. «È un bando sulla falsariga di quello di marzo, quando cercavamo personale per la Lombardia e le regioni sotto stress», spiegano i tecnici del governo. Come allora, la risposta è straordinaria: le richieste sono 49mila.
Sono tutti disoccupati, liberi professionisti o inoccupati. Sono 9.282 medici, 2.717 infermieri, 1.982 assistenti, 8.210 studenti e 26.545 amministrativi. Il 26 ottobre la Protezione civile chiude il bando. Il 27, un martedì, invia gli elenchi a tutte le Regioni. Nelle stesse ore il ministero della Salute certifica il fallimento del sistema di contact tracing , proprio per la mancanza di tracciatori. Bene: era lecito aspettarsi che le Regioni attingessero a piene mani da quegli elenchi. Anche perché il ministro Boccia e il commissario straordinario all’emergenza Domenico Arcuri hanno fatto sapere — sia informalmente sia formalmente — che il limite delle duemila unità era da considerarsi indicativo, dunque superabile. «Prendete le persone di cui avete bisogno», è stato il messaggio.
E invece molte Regioni sono rimaste, sinora, inerti. La Toscana è la sola che ha assunto un numero robusto di unità, 242. Cinquantuno sono andate a lavorare in Veneto, 42 nelle Marche, 27 in Umbria, 25 in Liguria. Clamorose, però, le Regioni a quota zero. La Puglia chiude le scuole per mancanza di tracciatori e non usa le disponibilità della Protezione civile: nell’elenco ci sarebbero 737 medici, 158 infermieri, 266 tecnici della prevenzione da cui pescare per rafforzare il tracciamento. A zero la Campania e la Calabria che avrebbero la disponibilità di cinquemila persone referenziate, a zero il Piemonte, da dove però fanno sapere che, nei prossimi giorni, sigleranno i primi contratti. Ma perché nessuno li ha chiamati prima?
Le giustificazioni opposte da alcuni uffici regionali lasciano senza parole. Burocrazia, incapacità di comunicare con il sistema sanitario centrale, indisponibilità di personale che faccia le selezioni. Risultato: ieri sera alcuni direttori generali delle Asl non sapevano nemmeno dell’esistenza di questo elenco.
Giuliano Foschini e Fabio Tonacci – REPUBBLICA