12.978 i ricercatori con contratto stabile negli enti pubblici di ricerca: il numero rappresenta circa la meta dei dipendenti totali (24.434)
ROMA — D’accordo, il problema numero uno è che spendiamo poco. Nella ricerca l’Italia investe l’1,2% del prodotto interno lordo, la metà della media europea, un terzo degli Stati Uniti, e per carità di patria con le frazioni ci fermiamo qui. Ma il problema è anche come usiamo quei soldi che saranno anche pochi ma insomma. Qualche esempio. L’Istituto nazionale di alta matematica ha dieci persone in pianta organica: un dirigente più nove fra tecnici e amministrativi. Ricercatori a tempo indeterminato? Zero. L’Istituto italiano di studi germanici di persone in dotazione ne ha sei: cinque fra tecnici e amministrativi. Ricercatori in pianta stabile? Uno solo. Più persone in segreteria che in laboratorio. Casi limite ma non isolati. Perché considerando tutti gli enti pubblici di ricerca i lavoratori con un contratto stabile sono 24.434, ma se contiamo solo i ricercatori scendiamo a 12.978. La metà. Il problema viene da lontano. E nulla hanno potuto nemmeno le forbici della spending review, la revisione della spesa pubblica varata dal governo Monti. Tutti questi numeri sono allegati al decreto firmato pochi giorni fa dal ministro della Pubblica amministrazione Filippo Patroni Griffi che riduce la pianta organica della macchina statale. Negli enti di ricerca sono state eliminate 31 poltrone da dirigente, come dovuto. Ma niente è cambiato nella proporzione fra ricercatori e personale amministrativo. Né poteva visto che la legge indicava una semplice riduzione degli organici, distinguendo sì fra dirigenti e altri dipendenti, ma non fra ricercatori e amministrativi che per la spending review pari sono. Tagli lineari, insomma. «Ma che attività scientifica può fare chi non ha ricercatori in pianta stabile? Forse era meglio chiudere qualche ente» dice Rocco Tratto — segretario del sindacato Usi ricerca — che ne ha scritto sulla sua rivista, il Foglietto. Difficile dargli torto. Anche se le tabelle allegate al decreto hanno un limite. Fotografano la pianta organica e quindi contano solo le persone con un contratto a tempo indeterminato mentre anche in questo settore i precari abbondano. La pianta organica, però, è anche la mappa delle prossime assunzioni, delle future stabilizzazioni dei precari (sempre ammesso che ci saranno). Lo squilibrio resterà, insomma. Continuando a dirottare in segreteria una parte dei (pochi) soldi che spendiamo per la ricerca.
Corriere della Sera – 31 gennaio 2013