DIMENTICATE i ministeri, le commissioni parlamentari e i grandi affari di Stato. Oggi l’identikit del politico corrotto segnala gusti diversi, con una preferenza per nuovi territori di caccia: i Comuni e le Regioni, dove le bustarelle sono a portata di mano e si possono costruire camarille fidate che ignorano le logiche di partito. È la metamorfosi della razza ladrona che si è imposta dopo Mani Pulite, la selezione della specie più collusa ritratta in un’analisi sociologica realizzata studiando le condanne di 541 politici in tutta Italia.
L’HABITAT dell’homo corruptus è cambiato. Il territorio di caccia prediletto del politico disonesto non sono più ministeri e Parlamento, ma assessorati comunali e consigli regionali. Non razzia per finanziare le segreterie nazionali, ma afferra bustarelle per arricchire il suo branco: quattro-cinque compagni fidatissimi, funzionari pubblici o professionisti ben introdotti, che lo aiutano a banchettare nell’ombra.
La fenomenologia del politico corrotto è raccolta in uno studio di 170 pagine diretto da Rocco Sciarrone, che insegna sociologia della criminalità organizzata all’università di Torino ed è uno dei maggiori esperti europei in materia di poteri oscuri. Un’indagine promossa dalla Fondazione Res di Palermo, presieduta dal professor Carlo Trigilia, attiva in un programma di ricerche su temi importanti per il Mezzogiorno e l’intero paese. La base statistica è rigorosa: 541 politici sezionati attraverso le sentenze della Cassazione, casi definitivi di malaffare che riguardano la corruzione in ogni sua declinazioni. Dati che sono stati poi integrati con centinaia di fascicoli delle autorizzazioni a procedere del Parlamento, approfondendo il profilo di ogni imputato, il tutto elaborato secondo i criteri della sociologia per comporre la storia dei corrotti d’Italia prima e dopo Tangentopoli. Una razza ladrona che nell’ultimo decennio è tornata a proliferare nel Meridione e in parte nel Nord Ovest mentre sembra decrescere nelle “vecchie regioni rosse e bianche”.
Già, ma chi ruba di più? L’analisi non è semplice e deve fare i conti con il trasformismo e le liste civiche dai confini mutevoli. In più ci sono i “surfer”, quei politici che soprattutto al Nord hanno esordito nella Prima Repubblica e hanno cavalcato l’onda del rinnovamento per finire alla sbarra nella Seconda. L’appartenenza a uno schieramento inoltre rischia di trarre in inganno, perché prima del 1992 il 42 per cento intascava i soldi per il partito mentre ora lo fa solo il 7 per cento. Quelli che invece delinquono per profitto personale sono schizzati dal 35 al 60 per cento: sono la maggioranza silenziosa del ladrocinio. E veniamo alla classifica generale dell’ultimo trentennio. Gli esponenti dei partiti dissolti all’epoca di Mani Pulite – Dc, Psi, Pri, Pci, Psdi, Pli – sfiorano il 40 per cento dei ma- riuoli. Quanto alle nuove compagini, vince il centrodestra con il 32 per cento. Lo segue il centrosinistra con il 17 per cento (ma se limitiamo lo sguardo al Sud si arriva al 25) e il centro “puro” con circa il 4. C’è poi un 11 per cento di personaggi che hanno cambiato casacca e un 5 di “non classificabili”. Nell’hit parade delle nuove leve, ossia quelle entrate in politica dopo il 1992, la distanza tra i due poli aumenta: il centrodestra conta un 52 per cento mentre il centrosinistra è al 29. Ma la questione morale resta un problema di tutti.
In compenso la minaccia si evolve. Scrive il dossier: «Nella fase successiva a Tangentopoli giocano un ruolo significativo figure di nuovi “notabili”, provenienti dal mondo delle libere professioni (26% dei politici) che si collocano più nel centrodestra ma anche nel centrosinistra. Si muovono per finalità di arricchimento privato piuttosto che di sostegno ai partiti, ma non agiscono in modo isolato. Si pongono piuttosto al centro di reti ampie e strutturate che a volte vedono coinvolta direttamente la criminalità organizzata». Infatti dopo il 1995 i mafiosi implicati nelle collusioni politiche aumentano e compaiono nel 18 per cento dei casi. Ogni tangente nasce da un triangolo: l’imprenditore che paga, il politico che decide, il funzionario che concretizza l’atto illecito. Ebbene, sempre più spesso impresari e industriali lasciano il posto ai boss. Il segnale di quella strategia dei clan che predilige le mazzette alla lupara.
Il tariffario si gonfia con il blasone del politico. Così il 40 per cento dei parlamentari viene accusato di tangenti con importi superiori a mezzo milione di euro, mentre solo il 13 per cento dei ranghi inferiori incassa cifre simili. Ma tanti adesso si vendono non per denaro ma per favori d’altro genere: case, auto, assunzioni o promozioni di parenti, pacchetti di voti. Un baratto molto più in voga al Sud perché il Nord predilige ancora il cash. D’altronde anche il mercato della corruzione si è sbriciolato. Ormai i piatti più ghiotti si trovano nei Comuni e nelle Regioni, che hanno ereditato fette di potere e di spesa pubblica sempre più ricche a danno del governo centrale: un assessore ha più occasioni di allungare le mani rispetto a un sottosegretario.
Una nota positiva. Su 541 lazzaroni, solo 14 sono donne. Il pool del professor Sciarrone ritiene che questo lasci intuire l’esistenza di un «effetto di genere specifico delle reti corruttive riconducibile a meccanismi di costruzione della reputazione criminale »: una doppia selezione che tiene fuori le quote rosa, prima dalla sfera politica e poi da quella dell’intrallazzo. L’affacciarsi delle signore nel business è recente e quindi in futuro potremmo avere sorprese ma al momento le tangenti sono una prerogativa del maschio italiano. L’età media è di 48 anni, perché in questo campo serve «un percorso lungo, attraverso l’accumulo di esperienze e di relazioni ». Prima di Tangentopoli, i mazzettari erano più giovani di tre anni; dopo il 2005 invece sono invecchiati di cinque: «Dato che suggerisce con le dovute cautele una certa continuità nella classe politica coinvolta in fatti di corruzione negli ultimi venti anni». È una diagnosi chiara: le amputazioni della magistratura sono riuscite solo a rallentare il male, che in poco tempo ha ripreso a crescere. Diffuso spesso dagli stessi untori. La metà opera a Sud, però a livello di regioni, dopo la Campania (17%) c’è la Lombardia (11,5%). La corruzione è specchio della società e lo dimostrano le differenze di stile dei malandrini. Nella pianura padana c’è un’impronta imprenditoriale, nel meridione avvocati e medici seguono la tradizione dei notabili e delle clientele. Ma il risultato è identico: la devastazione delle risorse pubbliche, l’azzeramento della competitività, la negazione del merito a vantaggio dei raccomandati. E il prezzo di questo sistema lo pagano tutti i cittadini.
Repubblica – 16 dicembre 2016