di Michele Bocci, Repubblica. Sergio Iavicoli dirige il dipartimento di Medicina ed epidemiologia del lavoro dell’Inail ed è uno dei membri del Cts della Protezione civile.
Qual è la situazione, è vero che i dati stanno un po’ migliorando?
«Va premesso che il trend giornaliero è decisamente meno solido del monitoraggio, che studia l’andamento settimanale. Comunque, dall’inizio di autunno abbiamo registrato una tendenza progressiva verso il peggioramento, mentre ora i numeri e la percentuale di positivi rispetto ai test sembrano ipotizzarne una diversa. Vediamo cosa dice la verifica settimanale della Cabina di regia ma si può sperare in qualche timido segnale di miglioramento».
A cosa è dovuto?
«In prima battuta agli ultimi tre Dpcm, che hanno adottato progressivamente le misure indicate nel piano nazionale di preparedness condiviso anche con le Regioni».
Negli ospedali la situazione è ancora difficilissima.
«Certo, perché il tasso di circolazione va a una certa velocità ma crea conseguenze in tempi diversi. In particolare, i ricoveri ordinari e in terapia intensiva sono legati alla durata della malattia, e arrivano più avanti rispetto alle positività al tampone. Per questo è importante osservare i numeri in prospettiva, tenendo conto della sostenibilità del lavoro per il sistema sanitario».
È giusto prendere misure diverse a seconda dei territori?
«Sì. Nella prima parte l’epidemia ci ha sorpresi e travolti e quindi sono state necessarie misure verticali a livello nazionale. Inoltre, a quel tempo non avevamo strumenti di monitoraggio.
Ora invece possiamo avere indicazioni puntuali per le singole regioni e anche valutare l’impegno dei vari sistemi sanitari. Così invece di chiudere le scuole, oppure bloccare la ristorazione in tutte le regioni si può lavorare per fasce orarie, zone, ordine e grado delle scuole a seconda delle situazioni».
I cittadini stanno rispondendo?
«Sì, a guardare i dati della mobilità nazionale, che abbiamo elaborato in Inail partendo da quelli delle grandi piattaforme di big data, Apple e Google. Sappiamo così che gli italiani hanno ridotto la propria mobilità sia nei trasporti pubblici, che in macchina e a piedi. E lo hanno fatto in maniera importante, visto che la circolazione scende di quasi il 30% rispetto al primo Dpcm di fine ottobre e si avvicina già adesso a una situazione simile al post lockdown. Va comunque ricordato che è il momento del massimo sforzo e di responsabilità da parte di tutti».
Quando si osserva il calo della mobilità sulla circolazione del virus?
«I dati di mobilità sono immediati, si possono leggere quotidianamente. Gli effetti invece li vediamo da due settimane dopo. E infatti è una prospettiva interessante incrociare la curva degli spostamenti con l’Rt degli stessi giorni, per creare indicatori precoci da affiancare a gli altri».
Parte del Paese sta chiudendo di nuovo, come bisogna prepararsi alla ripresa?
«Abbiamo un set di protocolli di gestione modulabili in tutti i settori, che ci aiutano nella ripresa. È quindi il momento di fare una riflessione, un “tagliando” a questi modelli. Penso in particolare ai trasporti pubblici locali, uno dei punti a mio avviso più critici. Soprattutto nelle aree metropolitane».
Come si affrontano?
«Utilizzando queste settimane di basso carico per studiare i dati messi a disposizione dalle agenzie di mobilità. Bisogna capire quali punti critici hanno creato affollamento in termini di linee e di orari. Bisogna programmare ora, anche con mezzi aggiuntivi nel settore privato, un approccio nuovo che sia pronto per il rilascio delle misure, quando la circolazione tornerà ad aumentare».
Non si poteva fare anche alla fine della prima ondata?
«Come Cts avevamo pubblicato già a metà aprile un documento, ancora attuale ma integrabile con dati recenti, con l’elenco degli interventi. Non c’era solo il limite di capienza, sul quale si è concentrato il dibattito.
Si invitava anche a lavorare ad esempio sui picchi delle ore di punta, per prevenire affollamenti.
Riprendiamo in mano quel documento e mettiamoci a lavorare subito, senza aspettare che dopo la riapertura i contagi ripartano».