Gentile Direttore,
due doverose premesse: non sono un medico di laboratorio, ma per ruolo ho collaborato con molti bravissimi esperti del settore, e la medicina di laboratorio ce la farà sicuramente a sopravvivere, ma al momento sta subendo un gravissimo attacco su cui forse varrebbe la pena di riflettere a livello di sistema e non solo di ambito specialistico.
La medicina di laboratorio, definizione mia, è quell’approccio ai test diagnostici di laboratorio in cui si intrecciano per darsi regole e percorsi condivisi ed evidence based tre approcci: quello tecnico laboratoristico in senso stretto, quello clinico e quello epidemiologico. Questo approccio serve in sostanza a rispondere per qualunque test alle domande: a chi farlo, quando farlo e come interpretarlo evitando la logica a tipo jukebox del laboratorio che produce referti mettendo un gettone e pigiando un bottone. Già agli inizi degli anni ’80 erano diventati di uso corrente nel mondo della medicina di laboratorio i termini di sensibilità, specificità, valore predittivo, prevalenza e così via. Ricordo ancora a memoria la copertina di un manuale di quegli anni dai soliti colori della Piccin del prof. Burlina di Padova dedicato a questi temi e le esercitazioni fatte in tanti corsi di epidemiologia clinica su come si valutano i test diagnostici e di screening….
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