Gentile Direttore,
da ciò che è stato scritto e detto in queste settimane pare che sia solo l’Ispettorato del lavoro (INL) a occuparsi della sicurezza sui luoghi di lavoro e che l’unica arma sia la repressione. Le ASL ed il lavoro fatto non solo di prescrizioni e sanzioni, ma anche di assistenza, piani mirati, formazione, sensibilizzazione, promozione della salute, non sono pervenuti.
Eppure la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (SSL) ha piena cittadinanza tra i bisogni di salute della popolazione. Salute che rappresenta un bene giuridico fondamentale tutelato dalla Costituzione italiana (art.32) e garantito (o almeno così dovrebbe essere) dai LEA, Livelli essenziali di assistenza (DPCM 12/01/2017).
Di tutta questa complessa architettura, nata dalla meravigliosa Legge 833/1978 (artt. 20 e 21), non si è parlato. A volte colposamente, ma altre volte dolosamente per dare spazio pubblicitario (mi si passi il termine) all’Ispettorato. Qualche giorno fa, Renzo Berti ha ricordato un suo colloquio con Bruno Giordano, allora direttore INL, sull’ampliamento delle competenze dell’Ispettorato a tutti i settori produttivi: “Mi rispose (…) che commettevo un errore o per meglio dire una sottovalutazione. Parlavo infatti da operatore della Toscana (..) inconsapevole che in altre realtà, soprattutto al sud, queste funzioni sono pressoché totalmente sguarnite e che se si voleva affrontare il problema su scala nazionale era necessario imboccare altre strade”. Il 19 febbraio scorso, anche Giusi Fasano sul Corriere della Sera così scriveva: “Sarebbe utile far diventare realtà (…) anche la legge 215 del 2021 (…). Una legge scritta per superare la Riforma sanitaria del ‘78 che affidava la competenza per controlli e vigilanza sui luoghi di lavoro alle aziende sanitarie, quindi alle Regioni. Il fatto è che ciascuna regione è regolata da criteri, investimenti e politiche proprie (…)”.
Insomma, in un mondo fatto di superficialità e slogan, invece di rimboccarsi le maniche per tornare a valorizzare il SSN ed applicare i LEA su tutto il territorio nazionale, si pensa di eliminare completamente il problema, smantellando tutto. Dimenticando però due elementi. Il primo: da Bolzano a Pantelleria, le realtà lavorative sono diverse, le ASL conoscono i loro territori e possono orientare controlli e azioni di prevenzione per garantire salute (anche a fini di epidemiologia occupazionale ed ambientale). Il secondo elemento, per cui non si è spesa dolosamente una parola: la vigilanza in materia di edilizia (di cui si parla tanto in questo periodo) è sempre stata presente nelle attività dell’Ispettorato: si tratta, insomma, di uno di quei campi in cui l’INL non ha mai perso la possibilità di vigilare e controllare…
Arriviamo al discorso delle competenze. All’interno delle ASL operano professionisti della salute, formati a livello universitario su SSL da un punto di vista tecnico, giuridico e sanitario: i Tecnici della Prevenzione. Comparare un corso di laurea universitario triennale e magistrale con un corso di formazione di 175 ore (fonte: INAIL) per gli ispettori tecnici del lavoro (di cui si annunciano nuove assunzioni e nuovi concorsi) fa capire quanto poco si creda nella prevenzione (l’attività sanitaria più complessa da svolgere, rispetto alla cura e alla riabilitazione). Inoltre, l’accesso di tutte le tipologie di laurea al concorso per ispettore tecnico ha prodotto effetti grotteschi. Dal confronto con alcuni colleghi è emerso quanto segue: in una provincia c’è un ispettore tecnico del lavoro dietista, in un’altra è presente un ispettore tecnico laureato in filosofia, in un’altra ancora l’ispettore tecnico è molto preparato sulle tecniche biomediche…
All’indomani della tragedia di Firenze, Jacobo Giliberto ha scritto sul Foglio: “Le cronache dei morti sul lavoro, ma anche quelle dei mille eventi della vita di ogni giorno, parlano di un abbassamento generale della qualità del ‘saper fare’. (…) addetti con poca esperienza e tanta speranza una settimana fa pedalavano per consegnare pizze, questa settimana lavorano in cantiere sotto un carico sospeso, fra una settimana raccoglieranno broccoli”. Ecco, il “saper fare” deve riguardare anche chi è “dall’altra parte”, cioè a fare prevenzione nei luoghi di lavoro.
Da queste riflessioni nascono una serie di domande: perché non si torna a predisporre un Piano Sanitario Nazionale, concentrandosi su SSL? Perché oltre che parlare di mancanza di medici ed infermieri non si parla anche della mancanza di tutte le altre professioni sanitarie, a cominciare proprio dai Tecnici della Prevenzione? Perché non si implementa sulla SSL il Nuovo Sistema Informativo Sanitario? Perché non prevedere un ruolo centrale di Tecnici della Prevenzione e Assistenti sanitari nelle nascenti Case della Comunità? Perché le Regioni, tramite la loro Conferenza, non assumono una posizione forte su questa materia? Perché non valorizzare con noi quanto di buono è riportato all’interno del Piano Nazionale della Prevenzione e in quelli regionali?
Perché noi TdP spesso dimentichiamo di essere professionisti sanitari? Perché non si avviano tavoli di confronto istituzionale dedicati alla predisposizione di Linee Guida e PDTA sulla SSL? È vero, Linee Guida e PDTA nascono in ambito clinico, nulla vieta però di “calarli” nella nostra attività, siamo pur sempre esercenti una professione sanitaria e soggetti alla Legge Gelli.
Ma soprattutto: sulla tutela della SSL, dov’è il Ministero della Salute? Dove sono le Regioni? E le Università (che pure formano professionisti in questo campo)? E soprattutto, dov’è l’Albo dei Tecnici della Prevenzione (considerando quanto dice l’art.4 della L.3/2018)? Proveremo con “Chi l’ha visto?”.
Alfredo Gabriele Di Placido