di Ivan Cavicchi*. Quel che non è riuscito con il ddl stabilità si farà nell’annunciato nuovo Patto tra Governo e Regioni. Le larghe intese su cui contava Letta per imporre altri tagli lineari si sono rivelate insufficienti a sostenerlo. Gli obiettivi di riduzione della spesa sanitaria sono stati quindi ricollocati nel Patto per la salute, allargando di fatto le larghe intese alle Regioni. Le Regioni a causa dei tagli lineari rischiavano di andare tutte in disavanzo e di essere commissariate, ora con il patto per la salute si trovano a decidere qualsiasi cosa le metterà al riparo da questo rischio. Sono loro che alla fine decideranno “a chi” allocare e in “che modo” i tagli tanto vituperati o gli oneri che andranno a gravare sui cittadini, con il vantaggio, dal loro punto di vista non secondario, di poterlo fare a prerogative istituzionali invarianti.
Non ho mai creduto che le Regioni, da Errani a Vendola, siano insorte contro i tagli a difesa dell’art. 32, del diritto alla salute e della sanità pubblica. Le Regioni, da Errani a Vendola, difendono le Regioni, costi quel costi. Sembrerebbe illogico che le Regioni ripropongano uno strumento che da quando è nato, a leggere nel tempo le dichiarazioni di Errani, è sempre fallito. Ma una logica c’è ed è quella di un potere da difendere che, come abbiamo visto con i tagli di Monti, senza il Patto per la salute sarebbe di fatto azzerato.
Ho riletto la proposta che le Regioni hanno fatto per il Patto per la salute 2013/2015 e la sensazione è quella di un schema che si riproduce dal 2001 tale e quale, in cui si aggiornano i dati di spesa ma non le logiche di fondo che continuano ad essere terribilmente marginaliste. Originariamente il Patto per la salute fu concepito come un accordo finanziario e programmatico, per migliorare la qualità dei servizi, l’appropriatezza delle prestazioni e l’unitarietà del sistema.
Ma oggi non è più così. Ad uno schema invariante di buoni propositi oggi corrispondono contesti finanziari fortemente ostili nei confronti dei quali, mancando adeguate strategie riformatrici, ci si riduce da una parte a restringere comunque le tutele e dall’altra a tassare in qualche modo i cittadini. Il dato più macroscopico è un tipo di concertazione istituzionale che si basa sull’esclusione della concertazione. Che la sanità e le sue rappresentanze siano completamente escluse dal negoziato è indicativo di uno spirito istituzionale autoritario. Questi signori non hanno ancora capito la lezione sul cambiamento che è comunque venuta dalle ultime elezioni politiche.
A parte ciò, tutti sanno che in sanità è impossibile fare una ponderata spending review, senza una concertazione larga che coinvolga tutti i protagonisti dei processi che si intende rivedere. Per cui ne deduco che bene che ci vada avremo, in nome dell’intramontabile appropriatezza, una pioggia di tagli lineari camuffati con le solite misure di riorganizzazione. Considerando che ¼ della spesa è già a carico delle famiglie la sanità continuerà a declinare verso un sempre più vicino break point. Per cui l’insistenza delle Regioni da Errani a Vendola, di rivedere i Lea non mi dice nulla di buono. Ci spieghino una volta per tutte cosa significa ridiscutere i Lea? Non credo di chiedere la luna, i Lea sono la traduzione tecnica dell’art. 32, in prestazioni professionalità e servizi, spesa. E’ mai possibile che una cosa tanto delicata possa essere decisa senza sentire nessuno? Vorrei ricordare che contro il taglio dei Lea previsto dalla nota al Def, si è pronunciato il Parlamento, e che i Lea nascono con la 502 (art. 1) che stabilisce che spetta al governo definirli sentite le Regioni predisponendo un piano sanitario nazionale.
La legge 502 dice anche che tale piano è predisposto dal Governo e deve essere sottoposto al parere delle “commissioni parlamentari permanenti competenti per la materia”. A me non risulta (ma potrei sbagliare) che questo impianto sia stato modificato neanche dal DPCM 29/11/2001 che ha ridefinito i Lea nella forma che vige attualmente. E neanche con la riforma del titolo v che ha sancito che la questione Lea resta materia del governo. Mi chiedo quindi se è lecita la pretesa delle Regioni da Errani a Vendola, di ridefinire i Lea con il Patto per la salute? Si possono definire i Lea fuori da un piano sanitario? Si possono riorganizzare le tutele senza un progetto per riorganizzarle? Se le regioni da Errani a Vendola pensano di poter ridefinire i Lea al solo scopo di salvarsi le terga come Regioni per non andare in disavanzo si sbagliano e di grosso.
La sanità si ribellerà. Tagliare i Lea oltre a tagliare diritti taglia sul lavoro, le professioni, i servizi. Le strade per qualificare la spesa sanitaria senza toccare i diritti delle gente sono altre. Ma il break point si sta avvicinando anche per la pazienza. Siamo davvero stufi come sanità di pagare le incapacità e le incompetenze di una “governance” sciatta e spocchiosa. Lo dico a tutta la politica …se oggi si torna a parlare del “partito della sanità” è perché lo scollamento tra i partiti delle larghe intese e la sanità è drammatico. Se nei congressi e nei convegni si parla di “nuova riforma” è perché persino un idiota capirebbe che con i Patti per la salute non si va da nessuna parte. Se Obama ha rischiato il default per difendere la sua riforma sanitaria è perché di sicuro egli ha una idea di sanità molto diversa da quella degenerativa dei nostri mediocri amministratori.
*Quotidiano sanita – 19 ottobre 2013