Sette anni dopo l’annuncio della chiusura del centro ricerche con i suoi oltre 500 cervelli impiegati (poi venduto all’americana Atpuit), un altro pezzo di Glaxo Smith Kleine rischia di lasciare Verona. La strategia di riposizionamento globale della multinazionale farmaceutica da parte della ceo Emma Walmsley prevede una «revisione strategica» della divisione delle cefalosporine – antibiotici ad ampio spettro che si trovano a fronteggiare una sempre maggiore concorrenza da parte dei farmaci generici sul mercato – per concentrarsi su altri business più redditizi, come i vaccini. Questo porterà alla vendita – come riportato ieri dal Times di Londra – degli stabilimenti che producono cefalosporine: due si trovano in Inghilterra, uno in Italia, per la precisione a Verona, dove lavorano oggi circa 300 persone. Mercoledì, i vertici di Gsk Italia hanno inviato una nota ai dipendenti (con il titolo sibillino: «Migliorare competitività ed efficienza del nostro network produttivo») per spiegare la strategia aziendale con la conferma che il sito produttivo di Verona potrebbe essere integralmente ceduto nel prossimo futuro.
La notizia consente adesso di inquadrare in una luce diversa le recenti dimissioni di Daniele Finocchiaro, manager di lungo corso in Gsk e negli ultimi cinque anni presidente delle attività italiane, che aveva spiegato la sua scelta come la necessità di «prendere una pausa di riflessione e rinnovare le energie per affrontare le sfide nel futuro». Era passato invece sotto silenzio l’abbandono sempre nei giorni scorsi di Marco Malaguti, site director di Glaxo Manufacturing, ovvero proprio la divisione che produce le cefalosporine e messa adesso sul mercato dalla casa madre.
La nota interna chiarisce anche che l’altra divisone presente a Verona, la Pharma, «non è riguardata da questo annuncio». Si tratta di quella che comprende lo sviluppo di farmaci respiratori, antibiotici come l’Augmentin, vaccini come quello contro l’herpes. Da bilancio 2015, erano qui impiegati in 899, compreso però anche il plotone di informatori farmaceutici. Il timore dei sindacati è che anche questa divisione possa però essere interessata da tagli nel prossimo futuro, perché molti brevetti sono ormai in scadenza e il fatturato dei vaccini non è ancora tale da compensare eventuali perdite di ricavi. La nota insiste però sulla necessità di rassicurare gli «stakeholder esterni» sull’impegno di Gsk «verso l’Italia e della strategicità del nostro paese».
Glaxo è presente a Verona dal 1932, l’anno in cui fu fondata da Peter Gent e Guglielmo Bompiani. Una storia lunga 85 anni, con la nazionalizzazione nel 1940 (fino al ‘46), lo spostamento della produzione nelle grotte di Avesa negli anni di guerra per evitare le bombe, l’arrivo della penicillina nel ‘47 a bordo di un idrovolante che atterrò sul Garda, l’inaugurazione dei nuovi laboratori nel ‘49 da parte del premio Nobel Alexander Fleming. E ancora la nascita della divisione Ricerca e Sviluppo nel 1970, l’arrivo alla presidenza nel ‘79 di Mario Fertonani, primo non inglese a ricoprire la carica, che ebbe l’idea di sponsorizzare la locale squadra di basket in un momento d’oro (Coppa Italia vinta nel ‘91). C’è stata anche la disavventura della maxi-inchiesta della procura veronese, avviata nel 2003: tremila persone coinvolte, l’accusa a Gsk di aver cercato di piazzare i suoi farmaci in modo poco lecito, la conclusione del 2009 con una raffica di assoluzioni.
Gli ultimi anni sono stati vissuti in altalena: da un lato la cessione del centro ricerche, andata a buon fine anche grazie all’interessamento di ben tre ministri dell’allora governo Berlusconi; dall’altra i nuovi investimenti, 40 milioni di euro presentati in pompa magna, appena tre anni fa, dall’allora presidente Finocchiaro.
Alessio Corazza – Il Corriere del Veneto – 21 luglio 2017