Marco Bonet. All’indomani della firma della «pre-intesa quadro» sull’autonomia tra il governo e la Regione, una domanda circola insistentemente sulle strade del Veneto: ma se autonomia significa più soldi (per noi), di quanti soldi stiamo parlando? E a chi li toglieranno? E a cosa serviranno?
Domanda semplice, risposta difficilissima perché, come spiega Mario Bertolissi, costituzionalista dell’università di Padova tra gli artefici dell’intesa, «è un po’ come se parlando di una quercia ci chiedessimo: quanto crescerà? Sarà robusta? Ci vorrà lo stesso tempo di un pioppo? Abbiamo piantato il seme e questo è già di per sé importantissimo, perché viceversa non ci sarebbe alcun albero. Poi ci vorranno anni e starà a noi decidere fino a che punto portare avanti questa rivoluzione del merito e della competenza, questo processo di modernizzazione e rivitalizzazione del Paese».
Le risorse (finanziarie ma anche umane e strumentali) verranno stabilite nel loro ammontare da una commissione paritetica Stato-Regione – ispirata all’esperienza delle Province autonome di Trento e Bolzano – di pari passo con la devoluzione delle competenze da parte di Roma. Esempio: lo Stato acconsente a cedere alla Regione la bonifica dei siti inquinati? Ebbene, la commissione stabilirà quanto lo Stato ha finora speso in Veneto per gestire la stessa competenza (la «spesa storica», criterio che verrà però superato entro 5 anni dall’approvazione in parlamento della legge autonomista); si applicheranno dei correttivi legati ai «costi e ai fabbisogni standard», a parità di servizio (quanto si è speso mediamente in Italia per la stessa competenza? E quanto nella Regione più efficiente?). Si riconoscerà al Veneto la cifra risultante. Va da sé che il Veneto considera premiante questo meccanismo di calcolo, potendo contare su una virtuosità che gli consentirebbe di trattenere il differenziale tra quanto si spende effettivamente qui ed il costo standard nazionale (ad esempio: di media si spende 100; qui si spende 80; 20 restano in cassa; con la spesa storica verrebbero invece assegnati al Veneto 80 e stop ed anzi, se l’anno successivo si risparmiasse ulteriormente, 70, 60 e così via).
Dove si troverebbero i soldi una volta stabiliti nel loro ammontare? L’articolo 4 parla di «compartecipazione o riserva di aliquota al gettito di uno o più tributi erariali maturati nel territorio regionale». Nulla di nuovo, in realtà: già oggi, infatti, la Regione compartecipa al gettito Iva (è il 61% delle sue entrate, 5,8 miliardi) e gode di un’addizionale Irpef e di un’addizionale all’accisa sul gas. La Regione punta ad estendere la compartecipazione anche all’Irpef e all’Ires, trattenendo direttamente sul territorio le risorse che saranno stabilite dalla commissione paritetica (evitando il meccanismo andata-ritorno, verso Roma prima e il Veneto poi, sotto forma di trasferimenti). Al capitolo investimenti, invece, l’intesa parla di «nuove modalità» (non meglio precisate) di assegnazione delle risorse contenute nei fondi infrastrutturali nazionali, «anche mediante crediti d’imposta». Si tratta di strumenti compensativi contabili che permettono, allo Stato di non sborsare soldi «per cassa» ma di pareggiare «sulla carta» quanto dovrebbe dare e quanto dovrebbe ricevere. È lo stesso principio sottostante allo «split payment» dell’Iva già in vigore tra l’erario e le pubbliche amministrazioni.
Ora, detto come si deciderà il quantum e dove lo si vorrebbe andare a prendere, resta da capire chi ci rimetterà, perché il bilancio dello Stato, per le note esigenze di equilibrio dei conti pubblici, funziona secondo il principio dei vasi comunicanti. Se quindi il Veneto godrà di un surplus di risorse, qualcuno dovrà patirne una diminuzione e il pensiero corre subito alle Regioni del Sud. «L’autonomia può realizzarsi senza penalizzare nessuno – spiega Luca Antonini, come Bertolissi costituzionalista del Bo e tra i protagonisti della trattativa – semplicemente tagliando la spesa improduttiva e aumentando il recupero dell’evasione fiscale. E poi non è detto che l’autonomia possa essere per tutti: in alcune Regioni del Sud, infatti, personalmente credo dovrebbe esserci più Stato, non di meno». E pensare che dopo Piemonte e Liguria, Campania e Puglia stanno già bussando alla porta del governo…
Il Corriere del Veneto – 2 marzo 2018