Ieri, a Bruxelles, l’Italia ha difeso – per l’ennesima volta – i prodotti alimentari del Club Med. Nel sistematico conflitto regolatorio – e di mercato – che contrappone il Nord e il Sud Europa, da giugno si è aggiunta la complessa – e gravosa – questione dell’etichettatura britannica. Da questa estate, in Inghilterra, ogni cibo riporta la luce rossa, gialla o verde di un ipotetico semaforo che indica la (presunta) salubrità (e il potere di ingrassare) dei singoli cibi.
Sugli scaffali le confezioni italiane, spagnole e francesi vengono segnate spesso con il rosso. Ieri, a Bruxelles, al Consiglio Salute, l’Italia ha posto la questione. Naturalmente la Gran Bretagna ha difeso il suo punto di vista, ricordando l’articolo 35 del regolamento comunitario 2011/1169 che assegna, ai singoli Paesi, margini di libertà nel campo delle etichettature.
Con l’Italia si sarebbero schierati, fra gli altri, la Francia, la Spagna e la Grecia. In particolare, il rappresentante francese, allarmato per gli effetti sulla filiera del formaggio, avrebbe sottolineato il paradosso del Roquefort “appesantito” dal semaforo rosso, a fronte della luce verde di cui potrebbero beneficiare bibite gassate di ogni tipo. Il Governo porterà il problema, a Bruxelles, al Consiglio Agricoltura della prossima settimana.
Intanto, ieri il Commissario alla Salute, Tonio Borg, si è impegnato a monitorare la situazione qualora vi fossero indizi sufficienti di effettive distorsioni del mercato interno. Distorsioni del mercato, ma anche del buon senso. Sì, perché in Inghilterra, da questa estate, il mondo appare alla rovescia. La civiltà del gusto risulterebbe la sentina di tutti i mali. La bellezza del sapore minaccerebbe la salute pubblica. Il parmigiano reggiano? A Manchester non fa male. Fa malissimo. L’olio d’oliva? Beh, casalinghe di Bristol, state attente: provoca effetti assai nocivi per la crescita dei vostri figli. Ha dunque conseguenze quasi comiche, questo nuovo conflitto fra il Nord Europa e il Club Med.
In gioco però, oltre alla ragionevolezza, ci sono tanti soldi: soltanto per il nostro Paese affari per oltre 600 milioni di euro. Ma perché l’Inghilterra muove contro gli interessi italiani (oltre che francesi e spagnoli)? In Gran Bretagna l’obesità ha assunto contorni epidemiologici. La risposta, formulata dallo scorso giugno, è stata appunto l’introduzione di un nuovo sistema di etichettatura nutrizionale. Che, però, colpisce il Parmigiano e il Roquefort. Ma anche, per esempio, il prosciutto spagnolo, con il suo livello di salinità. Questo meccanismo rischia di vanificare l’attività del nostro sistema agroindustriale in un mercato strategico.
La questione è stata sollevata, lo scorso 2 dicembre, dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, in un colloquio con il viceministro della Salute inglese, Jane Ellison. «Il problema – dice Lorenzin – è che non si possono danneggiare prodotti tradizionali con marchio di qualità rendendoli vittime di una pur comprensibile campagna britannica contro l’obesità».
Il danno che si profila è grave. Anche perché il meccanismo dei semafori sta prendendo molto piede in Inghilterra: la grande distribuzione che aderisce all’iniziativa copre il 95,3% del mercato britannico. E, peraltro, non esiste nemmeno uno stringente controllo statale sull’assegnazione delle luci: un prodotto può essere giudicato ora rosso ora giallo. L’export agroalimentare italiano in Inghilterra vale 2,25 miliardi di euro. L’87,5% viene venduto attraverso la Gdo.
Da una simulazione di Federalimentare, il meccanismo di etichettatura a semaforo assegnerebbe la luce rossa al 28,3% dei prodotti alimentari esportati in Inghilterra, colpendo un paniere che, l’anno scorso, ha generato ricavi per 632,4 milioni di euro. Finora i produttori italiani obbligati a conformarsi alla richiesta inglese avrebbero sostenuto sovraccosti compresi fra i 31 e i 38 milioni di euro. Un conto che sarebbe soltanto il primo capitolo di una nuova, strisciante, guerra commerciale fra Nord e Sud Europa.
Il Sole 24 Ore – 11 dicembre 2013
Semaforo alimentare, Roma contro Londra. Il made in Italy rischia di perdere 632 milioni
Marco Zatterin. L’offensiva è cominciata. L’Italia è riuscita ad aprire un fronte europeo contro il «semaforo alimentare» britannico che minaccia una parte dell’industria continentale della buona tavola. Seguendo una raccomandazione del Dipartimento nazionale della Salute, da settembre la grande distribuzione del Regno Unito segna con un bollino rosso, giallo o verde i prodotti, in modo da guidare i consumi a seconda del tasso di sale, zuccheri e grassi contenuto. Ne risulta che il parmigiano appare pericoloso e le bibite gassate non offrono controindicazioni. Per la dieta mediterranea, e il made in Italy, è una minaccia da 632 milioni di potenziali perdite. Su cui Bruxelles promette adesso di indagare.
Un primo dibattito si è svolto ieri nel corso del Consiglio dei ministri Ue della Sanità. Con Roma si sono schierati nove stati, fra cui Spagna, Francia, Portogallo e Grecia. La nostra posizione, illustrata dall’ambasciatore Marco Peronaci (assente la ministra Lorenzin, impegnata in due convegni nella capitale), fa perno su tre possibili ondate di effetti negativi: la misura può frenare la libera circolazione delle merci nel mercato interno; può danneggiare i prodotti tradizionali con marchio di qualità Ue; impedire una corretta informazione per la salute dei consumatori.
Il responsabile europea per la Salute, Tonio Borg, conferma di aver aperto il cantiere, anche se con gran cautela. Molto non può fare. «La normativa europea consente agli stati di introdurre simili misure su base volontaria – ha spiegato il maltese a La Stampa in un ottimo italiano -, e sulla base delle informazioni in nostro possesso non abbiamo ragione di credere che stia accadendo altrimenti». Qualora fossero però riscontrate irregolarità, «non esiteremo ad intervenire». Intanto «monitoriamo».
L’Italia ci conta. Una ricerca britannica afferma che il 41% delle donne e il 30% degli uomini si fa influenzare dai semaforo. Vuol dire che dovendo scegliere fa un olio di semi vari col verde e uno extravergine di oliva col marchio scarlatto, sceglierà il primo, anche per il prezzo più basso. «Si rischia di privilegiare i prodotti industriali su quello naturali, le bibite coi dolcificanti contro i dolci con lo zucchero», afferma una fonte industriale. «Spero che il governo italiano si batta per smuovere la Commissione in modo che non si limiti a monitorare la situazione», incalza Filippo Ferrua, presidente Federalimentare.
Il governo britannico spende ogni anno oltre 5 miliardi di sterline per trattare malattie legate al peso eccessivo dei suoi cittadini, il 25% dei quali è classificato come obeso. Con la sua raccomandazione, applicata da settembre dai più grandi supermercati di Sua Maestà, ha indicato che se ci sono oltre 17,5 grammi di grassi ogni cento il semaforo è rosso, il che vale per il sale oltre 1,5 grammi, e lo zucchero qualora si passino i 22,5, disegnando così categorie tabù in cui finiscono tutti i formaggi, salumi, dolci, sughi, tortellini. Se ne trae che la Pepsi a zero calorie, ricca di aromatizzanti, appare più salutare del latte. Un paradosso, davvero. Ma la legge europea sta con Londra. Per ora.
La Stampa – 11 dicembre 2013