EFSA ha appena pubblicato un lavoro commissionato all’esterno, che fa il punto sull’applicazione dei principi dell’economia circolare alle filiere alimentari, e delinea metodologicamente i criteri su cui valutare i rischi e benefici.
L’economia circolare (CE) è un approccio che disarticola l’attività economica dal consumo di risorse, prospetta il riutilizzo dei rifiuti come materia prima-seconda all’interno della valutazione del ciclo di vita del processo e dei prodotti, sottoprodotti e rifiuti (Life Cycle Assessment), promuovendo un modello economico basato sulla condivisione, disponibilità, riutilizzo, ricondizionamento, recupero, anche attraverso la destrutturazione in singoli componenti, e riciclaggio, in un circuito (quasi) chiuso.
Il lavoro commissionato da EFSA si basa su una ampia revisione della letteratura, che ha identificato e classificato le pratiche CE in tutte le fasi della catena di produzione di alimenti e mangimi in Europa per fornire una panoramica delle pratiche attuali e previste.
Sono state individuate quattro macro aree all’interno delle quali sono previste o attualmente utilizzate in Europa le pratiche di CE: produzione primaria di alimenti e mangimi; riduzione degli scarti industriali/di produzione/lavorazione; ridurre gli sprechi di cibo e mangimi nel commercio all’ingrosso, al dettaglio di prodotti alimentari, nella ristorazione e nelle famiglie; e ridurre gli sprechi di imballaggio di alimenti e mangimi. In ciascuna macroarea sono emerse diverse pratiche di interesse in merito al rischio emergente per la salute delle piante, degli animali, dell’uomo e dell’ambiente.
A seguito della consultazione con l’EFSA e e i principali stakeholders, è stata condotta una ricerca bibliografica mirata per identificare i rischi emergenti per la salute delle piante, degli animali, dell’uomo e dell’ambiente derivanti dai “novel foods and feeds” nel quadro della CE.
La letteratura ha mostrato una propensione alla ricerca che indaga sull’adeguatezza dei nuovi mangimi in termini di parametri di produttività degli animali piuttosto che sui rischi emergenti dei nuovi alimenti/mangimi per la salute degli animali, dell’uomo, delle piante e dell’ambiente.
Gli studi che hanno studiato il rischio erano quasi interamente incentrati sui rischi biologici e chimici, sui rischi per la salute e sull’impatto ambientale degli insetti come alimenti o mangimi e sui substrati su cui vengono allevati.
Tale aspetto denota gli attuali limiti in una valutazione complessiva dell’Economia Circolare nel settore alimentare, specie alla luce delle tensioni suii prezzi delle materie prime mangimistiche, soprattutto per gli allevamenti intensivi “senza terra” che rischiano di essere economicamente insostenibili per la insufficiente produzione di foraggio aziendale. Inoltre, il prezzo dei fertilizzanti azotati, indispensabili per la resa dei seminativi a foraggera (mais in primis), ostacola la reddittività e sostenibilità economica nella produzione di foraggi aziendali.
Questo può spingere il mercato a proporre, attraverso anche formulazioni “chiuse” componenti mangimistiche e fertilizzanti e “top soil improvers” che non derivano da filiere alimentari. Questo comporta l’entrata nel ciclo produttivo di contaminanti ancora non normati, o la ri-emergenza di alcuni noti per cui già esistono “problemi” di sovraesposizione. Un esempio, i Coli patogeni in grado di determinare la Sindrome Emolitica Uremica e i residui di farmaci umani e l’associato mobiloma/resistoma nei bio-rifiuti di origine antropica, o i metalli pesanti con particolare attenzione al cadmio e al metilmercurio, presenti nelle macroalghe raccolte da contesti ambientali non definiti, compreso il loro utilizzo per tecniche di bio-depurazione.
E che dire dalla minaccia anche per il benessere animale costituita dai cocktails di micotossine presenti nei cosiddetti DDGS che originano dalla fermentazione dei cereali per la produzione di bio-etanolo, e che oggi vengono sempre più proposti nella formulazione mangimistica per il loro prezzo vantaggioso: i riscontri di quadri clinici e anatomo-patologici nelle diagnostiche degli II.ZZ.SS, soprattutto nei suinetti, dovuta ad esposizione a micotossine, anche attraverso l’allattamento, sono delle evidenze di tale maggiore pressione sugli individui più vulnerabili.
Non si può pensare che una alimentazione a base di insetti risolva i problemi di accesso alla risorsa alimentare, in modo da garantire la salute del consumatore e la sostenibilità delle filiere alimentari ad alto valore aggiunto ambientale, paesaggistico, e soprattutto sociale e territoriale.
In questo l’economia circolare applicata alla produzione alimentare può rappresentare un beneficio se origina e viene applicata alle filiere corte, garantendo così la tracciabilità delle materie prime e seconde su base geo-referenziata. Il tutto, inserito in un discorso di sostenibilità delle pratiche zootecniche, che in un approccio from farm to fork non può esimersi da riconsiderare e ri-progettare gli allevamenti intensivi “senza terra”. Con i prezzi attuali dei cereali uso zootecnico, se non ci fosse stata l’epidemia di influenza aviaria a ridurre le presenze avicole sul territorio del Veneto, probabilmente il ridimensionamento delle densità zootecniche lo avrebbe operato la dinamica dei prezzi del mais.