di Milena Gabanelli e Simona Ravizza, Corriere della Sera. Fino all’emergenza Covid, tutto quello di cui ogni anno gli ospedali hanno bisogno (28 miliardi di bandi di gara aggiudicati) per il 30% lo comprano direttamente, per il 10% ci pensa Consip, per il resto fanno affidamento sulle 21 centrali d’acquisto regionali. Lo scoppio dell’epidemia rende necessaria la presenza di un commissario con funzione di coordinamento. Il decreto del 17 marzo 2020 gli conferisce il compito di acquistare ogni bene indispensabile al contenimento della diffusione del virus, anche in deroga alle norme: «Tutti gli atti sono sottratti al controllo della Corte dei Conti, fatti salvi gli obblighi di rendicontazione. Per gli stessi atti la responsabilità contabile e amministrativa è limitata ai soli casi in cui sia stato accertato il dolo del funzionario o dell’agente che li ha posti in essere o che vi ha dato esecuzione».
Compiti e poteri del commissario
Il governo guidato da Giuseppe Conte sceglie Domenico Arcuri, da 13 anni amministratore delegato di Invitalia. La società, posseduta dal ministero dell’Economia, si occupa di attrazione degli investimenti, sviluppo del Mezzogiorno, aziende in crisi, bonifiche, accoglienza migranti, digitalizzazione PA, ricostruzione terremoti, dall’Ilva al salvataggio della Banca Popolare di Bari. Il comma 6 dell’articolo 4 dello statuto apre di fatto a 360 gradi il raggio d’azione: «La società potrà esercitare tutte le attività e funzioni ulteriori eventualmente attribuitele in forza di leggi e di norme anche per il perseguimento di nuove attività». Arcuri, manager politico navigato, non ha competenze specifiche in Sanità, ma l’articolo 122 gli consente di attingere dove ci sono: «Il commissario può avvalersi di soggetti attuatori e di società in house, nonché delle centrali di acquisto». Decide di non farlo. Questo è il resoconto dopo dieci mesi.
Camici, tamponi, reagenti
Il commissario non ce la fa a soddisfare l’intero fabbisogno di guanti, camici, respiratori, gas medicali, reagenti, siringhe, letti: per più della metà devono pensarci le Regioni. Qualche esempio: Arcuri spende 65,4 milioni in guanti di vinile e nitrile, le centrali acquisti devono sopperire per 138 milioni; così come per 1,4 miliardi di camici, calzari, cuffie e visiere, contro i 338 milioni di Arcuri. Per respiratori, monitor e letti il commissario copre il 57%; per tamponi e reagenti il 49%. Al 30 dicembre 2020 la spesa per le attrezzature e i materiali sanitari indispensabili nella lotta alla pandemia, ricostruita per Dataroom dall’Osservatorio MaSan (Management acquisti e contratti in Sanità) del Cergas-Bocconi, è di 5,5 miliardi così ripartiti: gli acquisti delle Regioni ammontano a 2 miliardi, quelli di Consip a 400 milioni, quelli della Protezione civile a 300, quelli del commissario Arcuri a 2,8 miliardi di cui 1,8 miliardi (il 65% del fabbisogno) riguardano mascherine chirurgiche, Ffp2 e Ffp3.
Mascherine Ffp2, prezzi a confronto
Sulle mascherine non consideriamo la prima ondata, durante la quale si è consumato ogni sorta di sciacallaggio: non si trovavano, e pertanto abbiamo dovuto accettare qualunque prezzo pur di averle. Dall’estate scorsa le cose sono cambiate: il mercato è inondato. Per quel che riguarda le Ffp2, il presidio numero uno per gli ospedali, sono pressoché tutte di produzione cinese. Visto che si tratta di quantità gigantesche non c’è dubbio che il commissario spunterà il miglior prezzo. L’11 settembre Arcuri firma un contratto da 100 milioni di pezzi con la YQT Health Care B.V., società olandese con un solo dipendente costituita il 16 marzo 2020. È una srl controllata dalla Bydcare Eu, filiale europea della cinese Byd, produttore di automobili di Shenzhen riconvertita nel più grosso produttore al mondo di mascherine. Al 20 dicembre l’unico destinatario di import sanitario della YQT è il commissario straordinario. Il prezzo pagato è di 105 milioni di euro, vale a dire 1,05 euro a mascherina. Vale la pena sottolineare che la Byd cinese è la stessa azienda con cui il commissario aveva firmato le scorso aprile due contratti per una fornitura di 300 milioni di mascherine chirurgiche (a 30 centesimi l’una), ma il pagamento fu direttamente alla società cinese senza passare dall’importatore olandese.
Dalla Cina all’Italia via Olanda
Il 25 settembre, dunque nello stesso periodo, l’azienda ospedaliera «Ospedali riuniti Marche Nord» di Pesaro assegna una procedura negoziata da 756 mila euro per l’acquisto di 2 milioni di Ffp2, prezzo: 37 centesimi l’una. La gara d’appalto è divisa in tre lotti. Uno degli aggiudicatari è la Polonord Adeste, importatore italiano di mascherine cinesi. La qualità è la stessa, la certificazione è equivalente. La differenza però non è banale: su 100 milioni di pezzi il commissario ha pagato 65 milioni in più. Anche la centrale acquisti della Regione Veneto, che per non rischiare di trovarsi scoperta ha acquistato un piccolo lotto, ha speso meno: 90 centesimi. In sostanza si compra dalla Cina, si paga in Olanda, e si paga caro.
Terapie intensive: 5 mesi di attesa
Il decreto legge del 19 maggio prevede l’acquisto di attrezzature e ventilatori per potenziare di 3.500 posti letto le terapie intensive e di 4.225 le semi-intensive. Il 27 luglio Invitalia pubblica il bando in cui le aziende disponibili a vendere i macchinari devono segnalarsi per poi essere selezionate. Le Regioni comunicano le loro necessità entro il 31 agosto. Ma l’elenco dei fornitori, a cui le singole aziende sanitarie devono rivolgersi per negoziare, il commissario lo rende pubblico il 2 novembre, cinque mesi e mezzo dopo, nel pieno nella seconda ondata. Per quel che riguarda la fornitura da 10 milioni di euro per l’acquisto di 157 milioni di siringhe «luer lock», che estraggono 6 dosi invece di 5 da ogni fiala del vaccino Pfizer, vuole vederci chiaro la Corte dei Conti del Lazio per capire se sia fondato il sospetto che avrebbero potuto essere comprate siringhe meno costose. Ma anche se fosse, il commissario per decreto è immune da ogni responsabilità. Vale per le siringhe, le mascherine e qualunque altro bene.
Che fine fanno le competenze?
Sta di fatto che la presenza di più soggetti che acquistano gli stessi materiali crea un cortocircuito di concorrenza che rende ancora più difficile portare a casa la merce. «La gestione degli acquisti sanitari durante l’emergenza Covid evidenzia i problemi profondi della macchina amministrativa del Paese — spiegano Francesco Longo, Niccolò Cusumano e Veronica Vecchi dell’Osservatorio MaSan Cergas-Bocconi —. Le strutture ordinarie dovrebbero, ben coordinate, potersi occupare anche di emergenze: il Servizio sanitario, le Regioni, le loro centrali di acquisto, le aziende sanitarie avrebbero dovuto occuparsi anche di Covid. E, in ogni caso, lo hanno fatto, ma ognuno per conto proprio, e cercando di mettere “pezze” alle falle del sistema commissariale». Questo succede perché viene creata una struttura che dovrebbe avere una funzione organizzativa e di guida, valorizzando chi già si occupa della materia, che invece si sostituisce a esse, ma senza averne competenze specifiche.