Il nuovo contesto in cui si inseriscono i Pfas. La calza della befana ha portato importanti novità in chiave prospettica sui Pfas, che da ora in poi non verranno più considerati singolarmente,ma valutati insieme come gruppo di sostanze di sicuro persistenti e mobili e quindi soggette a politiche di riduzione totale per la loro produzione, utilizzo e rilascio ambientale. In tale senso tutta la società – anche civile – sarà chiamata ad attivarsi attraverso il green public procurement e acquisto consapevole di prodotti con dichiarazione No Pfas, o meglio, non utilizzo di composti organici del fluoro, attraverso sistemi di etichettatura adeguatamente informativi.
La sfida culturale della medicina veterinaria in ambito di politiche di sostenibilità
In questo la sanità pubblica veterinaria, in una ottica one health di sicuro può contribuire alle politiche di accompagnamento di tale impostazione di green deal, come garanzia di inclusività tecnico-scientifica e culturale tra il settore della produzione primaria e i consumatori. La sfida culturale è quella di permettere l’auspicata transizione dei sistemi di produzione di cibo verso la sostenibilità ambientale, sociale, economica e sanitaria, per contribuire a migliorare il benessere delle persone e a trasmettere un pianeta sano alle generazioni future. Pfas, antibiotici e farmacoresistenze, farmaci veterinari, pesticidi e prodotti antiparassitari e ambiente, nitrati/nitriti sono i principali pericoli.
Pfas e microplastiche: il superamento dei regolamenti comunitari basati sui singoli composti
Nel settore dei PFAS e delle microplastiche si andrà ben presto verso un superamento delle logiche del regolamento REACH, basate sulla registrazione delle singole molecole contraddistinte da un numero CAS, e logiche tossicologiche, basate sulla proposizione di valori guida per la salute umana e conseguenti “Massimi residuali” in alimenti e mangimi per singola sostanza.
Si procederà considerando tali composti come un unico gruppo. Infatti, la maggiore preoccupazione della Commissione Europea è rivolta a quei più di 4000 PFAS censiti dall’OECD che attualmente non sono regolamentati e per questo nemmeno caratterizzati completamente da un punto di vista ambientale e tossicologico.
I costi per un effettivo controllo dei PFAS ai fini della tutela ambientale e sanitaria basato su approcci sostanza per sostanza risulterebbe non sostenibile e soprattutto estremamente incerto rispetto a nuove molecole sul mercato e/o al rilascio di PFAS conosciuti a partire da precursori sconosciuti, in termini di rischi ambientali, sociali, e sanitari. In tale senso, anche EFSA sta considerando i PFAS come miscele, superando l’approccio finora seguito e mirato fondamentalmente ai soli PFOS e PFOA, ovverossia ai due composti perfluoroalchilici a 8 atomo di carbonio.
La direttiva sui contaminanti nell’acque potabili e di falda: il punto di svolta
La cartina tornasole di tale tendenza da parte della Commissione europea è rappresentata dai limiti fissati per i PFAS nelle acque potabili e nelle acque di falda (che ricordiamo devono avere per legge gli stessi requisiti delle acque potabili). La direttiva, in fase di stesura definitiva, è il frutto di un compromesso a 3 tra Parlamento, Consiglio, e Commissione Europea e prevede un doppio binario: un limite di 0,1 microgrammi per litroper 20 molecole di PFAS individuate nei PFAS C4 – C12 della serie perfluorocarbossilica (il PFOA è il composto a otto atomi di carbonio – C8) e nei composti della serie C4-C12 della serie perfluorosulfonica (il PFOS è il C8 di tale serie). In alternativa, un limite a 0,5 microgrammi litro per la somma analitica di tutti i PFAS. Il limite regolamentare per i PFAS totali fissato a 0,5 di sicuro rappresenta quello a maggiore garanzia ambientale/alimentare, ma necessita di una adeguata validazione delle tecniche analitiche già oggi disponibili per la determinazione del fluoro organico totale estraibile (tecniche che sono già state illustrate in precedenti approfondimenti).
Questo per i seguenti motivi:
1) La lista positiva dei PFAS nel regolamento non contempla molecole fluorurate quali il Gen X, Adona, Perfluorocicloesansulfonato (PFECHs), C6O4, per i quali esistono evidenze della loro produzione anche a livello veneto, utilizzo e presenza in corpi idrici e biota di interesse alimentare.
2) I composti con atomi di carbonio superiori a 8 che sono inclusi nel limite di 0,1 microgrammi/L, hanno minori caratteristiche di idrofilicità, e quindi sono scarsamente presenti nei corpi idrici, a differenza dei PFAS più polari e proposti recentemente quali sostituti di PFOS e PFOA (vedi appunto Gen X, Adona, C6O4, PFECHs, ed altri PFAS polari dotati di elevata mobilità tra i comparti aria, suolo, acqua).
3) Analisi in parallelo condotte su campioni di acqua con metodiche indirizzate selettivamente alla lista positiva dei PFAS regolamentati e alla determinazione dei PFAS totali, hanno dimostrato una rilevante percentuale (con variazioni a seconda si tratti di acque potabili derivate da acque superficiali o acque di falda) di campioni che, pur essendo conformi al parametro di 0,1 microgrammi/L, eccedevano di gran lunga il parametro di 0,5 microgrammi/litro per i PFAS totali.
E’ quindi ragionevole prevedere che nell’arco di 1-2 anni, sarà il limite totale a 0,5 quello più pregnante. E questo passaggio richiede una politica di territorio per limitare all’essenziale l’utilizzo e il rilascio di PFAS, non solo dai siti di produzione, ma anche dai siti di utilizzo, e dai beni di consumo a fine ciclo/vita (vedi discariche, fanghi di depurazione, acque recuperate a scopo irriguo).
Il problema dei Livelli massimi residuali per i Pfas e il ruolo di Efsa
Ora che la decisione politica europea è stata presa, con 8 Paesi comunitari che appoggiano fortemente tale impostazione (I Paesi Bassi, ad esempio, hanno legiferato in merito ad una emissione ambientale massima di 2 kg/anno di PFAS dall’impianto di produzione di Dordrecht, dai 140 della precedente autorizzazione) si è in attesa del parere EFSA sui PFAS oltre al PFOS e PFOA.
Tale parere è atteso per la pubblicazione aperta a commenti per marzo 2020, e probabilmente verrà ratificato a fine estate. Di sicuro possiamo anticipare questo: in base al regolamento REFIT approvato a settembre 2019, che ridisegna i compiti in materia di sicurezza alimentare, il parere EFSA non potrà risultare in contrasto con il generale indirizzo politico della Commissione Europea in materia di riduzione dei PFAS totali. In questo, ragionevolmente ci si può aspettare che i PFAS verranno considerati come miscele – in parte superando l’approccio tossicologico per singolo composto – e che si arriverà ad una valutazione della loro tossicità in forma associata o cumulativa, analogamente a quanto si sta facendo per i pesticidi. Questo approccio è già stato anticipato nei Paesi Bassi dall’ Istituto per la protezione della Salute e dell’Ambiente – RIVM, che tra l’altro ha mosso critiche al precedente parere EFSA del 2018 su PFOS e PFOA. Questo approccio costituirà una sfida per la Commissione, segnatamente la DG Sanco, e le autorità centrali dei singoli stati membri su come stabilire i livelli massimi residuali.
Il parere EFSA del 2018 già illustrava come la stragrande maggioranza della popolazione generale europea risultasse sovraesposta rispetto al valore guida per la salute umana di 0,8 ng/kg peso corporeo/giorno per il PFOA… E adesso che PFOS e PFOA ed altri PFAS potranno essere valutati in maniera cumulativa ?
La DG Sanco ha anticipato in parte l’impostazione: ci si baserà sulla distribuzione della contaminazione nei vari alimenti e sul principio ALARA (As Low As Reasonable Achievable): questo vuol dire che gli MRL non saranno in assoluto protettivi per la salute umana, ma di fatto saranno un compromesso tra il mantenimento di esposizioni alimentari contenute (rischio per la food safety) e non soverchie restrizioni all’immissione di alimento sul mercato (rischio di food security). Tuttavia sarà necessario definire i cosiddetti Livelli Obiettivo di contaminazione (Target Levels – TL), basati sui reali consumi delle singole derrate alimentari e sul contributo che tali consumi danno all’esposizione a PFAS, esposizione che riconosce come valore guida quanto verrà stabilito da EFSA.
Una situazione che di sicuro fornirà lo spunto per certi prodotti alimentari di dichiararsi a basso contenuto di PFAS e quindi di proporsi sul mercato in maniera competitiva rispetto a quelli “tradizionali” in quanto rispettosi dei TL e non degli MRL.
Con una certa curiosità si aspettano i limiti sul pescato e sul fegato, specie se da selvaggina, laddove nei cinghiali non è infrequente imbattersi in contaminazioni tra i 50 e 500 ng/g di PFOS e PFOA… con buona pace dei consumatori di patè e dei crostini toscani.
Il duplice approccio Livelli massimi residuali e Livelli obiettivo (MRLs e TL) peraltro era già stato proposto nei primi regolamenti che hanno normato Diossine e Policlorobifenili diossino-simili negli alimenti all’inizio del 2006, salvo poi non trovare conferma nelle successive modifiche legislative. Questo a significare che per certi contaminanti ambientali in mancanza di politiche organiche di riduzione delle emissioni e del trasferimento alla catena alimentare, la garanzia di un cibo sicuro per tutti non è sostenibile perché comporterebbe una restrizione al consumo di una notevole quantità di alimento.
E questo è oltremodo valido in quelle situazioni locali dove la risorsa idropotabile contribuisce in maniera importante (per il PFOA oltre il 20% – rispetto al 10% stimato per la popolazione generale italiana) all’esposizione alimentare.
Si apre un grande spazio tra limiti residuali massimi gestionali e limiti residuali cautelativi per i gruppi sensibili e vulnerabili
Ecco che un piano di prevenzione dell’entrata dei PFAS nella catena alimentare è quindi strategico in una ottica di green deal, specie laddove si darà possibilità di etichettare i prodotti nel senso della loro sostenibilità. Siamo pronti a farlo? Il quadro legislativo non è ancora adeguato, e l’industria che utilizza i PFAS, a parte qualche esempio che riguarda soprattutto i materiali a contatto con gli alimenti, le scioline, e i cosmetici, non sembra pronta a darsi autonomamente delle regole, ma aspetta un quadro legislativo. Al solito, sui PFAS, chi non gioca di anticipo è in ritardo….
Gli spunti sono i seguenti, che riguardano aria, acqua e suolo:
–evitare l’utilizzo di mezzi di produzione che contengano PFAS in agricoltura (vedi fanghi e compost da fanghi, e anche PFAS come coformulanti di pesticidi e fertilizzanti). Caratterizzare acqua e i sedimenti in cui si allevano mitili e vongole. I Paesi Bassi a tale proposito hanno già indicato i requisiti ambientali ai fini della sicurezza alimentare dei terreni agricoli.
–Posizionare allevamenti semi-estensivi, pascoli e terreni destinati alla produzione di foraggi lontano da fonti di emissioni di PFAS, anche aeree (gli impianti di depurazione delle acque generano aereosol e bolle ricchissime di PFAS, per le proprietà tensioattive di tali composti. Questo riguarda anche le api, da considerare come bioindicatori della qualità dell’aria e delle deposizioni. Negli Stati Uniti, US-EPA nel suo PFAS Action Plan mette un accento speciale sulla misurazione dei PFAS nell’aria. Nei Paesi Bassi, nella valutazione di esposizione a PFAS vicino all’impianto di Dordrecht, il contributo inalatorio è stato valutato in circa il 20% della dose totale e ci si sta domandando l’impatto delle deposizioni sui terreni, foraggi, ortaggi, e piante.
-Requisiti per le acque di irrigazione: porre attenzione a quelle recuperate da effuenti di depuratori civili che raccolgono sia gli scarichi delle lavatrici, sia gli scarichi di depuratori di industrie che utilizzano i PFAS. I sistemi di disinfezione delle acque basati su irraggiamento UV, aggiunta di acqua ossigenata, ozonazione di fatto liberano i PFAS più mobili e quindi maggiormente in grado di trasferirsi al biota di interesse alimentare da fluorotelomeri e polimeri precursori.
-Correlare l’esposizione dei PFAS negli animali di interesse alimentare con l’insorgenza di malattie e il consumo di farmaco, e sindromi di minore rendimento data la azione di immuno-depressione e l’interferenza con gli ormoni tiroidei.
-Promuovere gli acquisti per le comunità secondo logiche di Green Public Procurement con una attenzione ai PFAS.
-Indirizzare i Gruppi di Acquisto Consapevole verso Aziende Agricole e Zootecniche che adottano precauzioni ambientali, agricole, e zootecniche in merito a PFAS, compresi i materiali a contatto con gli animali e gli alimenti.
Il Pfas Action Plan: il Veneto come esempio per la Comunità Europea
Anche la Commissione Europea si doterà presto di un PFAS Action Plan (già adottato negli Stati Uniti da US-EPA all’inizio del 2019), dove il caso Veneto verrà studiato per dimostrare i costi per la comunità derivanti dalla produzione, utilizzo e rilascio ambientale di PFAS, rispetto ai benefici. Tale PFAS Action Plan prevederà che ogni sito industriale e antropico che utilizza o riceve materiali contenenti PFAS sia tenuto a comunicare il Bilancio di Massa tra i PFAS ricevuti e quelli Rilasciati nell’ambiente e nei beni prodotti.
In tale quadro, è probabile un innalzamento dei costi per la cittadinanza per le spese di gestione dei rifiuti e dei reflui contenenti PFAS, partendo dalla depurazione delle acque potabili, delle acque di falda se usate a scopo alimentare/irriguo, fino alla gestione dei fanghi dei depuratori e delle acque di scarico, e delle discariche dove vengono conferiti beni prodotti utilizzando PFAS. Di certo, la presenza di PFAS per la persistenza e mobilità costituirà un ostacolo alle politiche basate sull’economia circolare, specie se non supportate dai criteri end-of-waste, che consentono il riutilizzo di un “rifiuto” da un precedente ciclo produttivo, come materia prima/seconda in un altro ciclo produttivo.
Quali i costi per il settore agricolo?
La recentissima pubblicazione sulla rivista Environmental International dello studio di biomonitoraggio condotto nel 2016-17 dall’Istituto Superiore di Sanità sul gruppo “Allevatori” nelle ex ASL 5 e 6 di fatto associa il consumo di alimento locale, vino incluso, con le concentrazioni nel siero di PFHxA, PFHpA, PFOA, PFDA, PFUdA, PFDoA, PFHxS e PFOS, che risultano superiori in modo statisticamente significativo rispetto a quelle misurate nel gruppo “Esposti” della popolazione generale. Le concentrazioni nel siero di PFOA sono giustificate solo nella misura di circa il 50% dalle stime di esposizione alimentare effettuate dall’Istituto Superiore di sanità, considerando lo scenario peggiore anche per quanto riguarda le acque potabili. Questo a significare che i costi per il mondo agricolo e zootecnico sono tutti ancora da quantificare. A quanto si apprende solo Confagricoltura, a tale proposito, ha inteso costituirsi parte civile al Processo “Miteni”, a sottolineare che esiste il fondato timore per alcuni produttori che approfondimenti sulla filiera alimentare possano causare un danno economico e di immagine all’economia locale.
Intanto, i gruppi di acquisto locale risulta si siano già orientati in modo autonomo su produzioni da aziende agricole meno impattate. Il dubbio legittimo è che non sia solo Miteni, e che non sia solo acqua potabile, specie se la ricerca di PFAS venisse ampliata anche ai fluoropolimeri e telomeri quali precursori delle molecole note: l’ultimo bollettino del biomonitoraggio umano della Regione Veneto aggiornato a fine 2019 indica chiaramente come nelle persone residenti da più di 10 anni nelle zone impattate le concentrazioni di PFOA raggiungano uno stato di equilibrio a livelli ematici elevati, ma non riporta alcuna evidenza di un effettivo calo delle concentrazioni ematiche nelle persone già campionate nel 2016-2017, in seguito agli interventi efficaci effettuati sulla filiera idropotabile (studio di follow-up).
Il bilancio di massa di tutte le sorgenti in grado di rilasciare Pfas in modo totale: un passaggio obbligato per qualificare il territorio e le produzioni agro-zootecniche legate al turismo
Per concludere, PFAS e microplastiche sono sulla stessa barca, ed è già stata intrapresa la politica di riduzione drastica del loro rilascio ambientale: laddove l’industria non si adeguasse in tempo, di sicuro saranno le campagne informative ad orientare la grande distribuzione e i consumatori verso la vendita e l’acquisto di prodotti no PFAS, o certificati ad uso essenziale di PFAS.
Di sicuro la disponibilità di strumenti analitici in grado di misurare i PFAS totali permette di effettuare i bilanci di massa e di verificare la presenza e il peso delle molteplici sorgenti di rilascio ambientale in aria, suolo, acqua, sia di origine industriale che antropica (discariche, depuratori civili, aeroporti, luoghi in cui si fa regolarmente uso di schiume anti-incendio), e soprattutto delucidare la presenza dei precursori dei PFAS “noti”, precursori la cui presenza nell’ambiente è testimoniata dal rilevamento delle sostanze utilizzate per la loro polimerizzazione, e dall’aumento inaspettato delle concentrazione dei PFAS noti in seguito alla degradazione ossidativa dei reflui a livello di depuratore.
Le pressioni antropiche sul mondo rurale o dove si produce l’alimento sono sempre più forti. Per i territori che legano il cibo al turismo e al paesaggio, la sfida della sostenibilità ambientale, sociale, ed economica posta dal Green Deal è fondamentale e foriera di finanziamenti.
Il rischio? Nel nome della sostenibilità passare a cibi prodotti in provetta o in ambienti estremamente confinati che hanno poco di autentico. Già qualcosa si vede per quanto riguarda il Nutriscore, laddove si propongono alimenti funzionali alla vita di oggi, perdendo autenticità e legame con il territorio. Facile prevedere un progressivo interessamento delle industrie farmaceutiche al settore agro-alimentare, laddove l’alimento diventerà “parafarmaceutico”… sulla falsariga degli integratori alimentari.
Cos’è il Green Deal europeo
Il Green Deal europeo mira a migliorare il benessere delle persone. Rendere l’Europa climaticamente neutra e proteggere il nostro habitat naturale farà bene alle persone, al pianeta e all’economia. Nessuno sarà lasciato indietro. L’UE intende Diventare climaticamente neutra entro il 2050. Proteggere vite umane, animali e piante riducendo l’inquinamento. Aiutare le imprese a diventare leader mondiali nel campo delle tecnologie e dei prodotti puliti. Contribuire a una transizione giusta e inclusiva.
“Il Green Deal europeo è la nostra nuova strategia per la crescita. Ci consentirà di ridurre le emissioni e di creare posti di lavoro.” Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea
“Proponiamo una transizione verde e inclusiva che contribuirà a migliorare il benessere delle persone e a trasmettere un pianeta sano alle generazioni future.” Frans Timmermans, primo vicepresidente della Commissione europea
Immagine 1 – La medicina nucleare può venire in aiuto della determinazione totale dei PFAS in matrici ambientali, alimentari, matrici biologiche, e nei beni di consumo, attraverso l’ emissione di raggi gamma in seguito a bombardamento di protoni (PIGE), superando l’approccio molecola per molecola. La tecnica non è distruttiva e consente ulteriori approfondimenti sulla stessa matrice.
Immagine 2 – Gli aereosol e le bolle che si generano a partire da fluidi, ad esempio nel processo di depurazione delle acque, o lungo i litorali e i corsi di acqua costituiscono un validissimo sistema di arricchimento dei PFAS e di loro trasferimento ambientale all’aria. Da qui la necessità di bilanci di massa e di valutazioni di esposizione, che tengano conto anche dei PFAS presenti/emessi nell’aria, e non solo nei suoli e nei corpi idrici
Immagine 3 – Concentrazioni mediane di PFOA rilevate nel siero degli allevatori residenti nelle aree (ex ULSS) impattate da PFAS in Veneto, messe a disposizione sul sito della Regione Veneto, e recentissimamente pubblicate a livello internazionale. Livello massimo riscontrato di 720 ng/g. dati riferibili agli anni 2016-7. I comuni compresi nella ex ULSS 5 non ricadono esclusivamente nella zona rossa A, ritenuta la maggiormente impattata dai PFAS.
(riproduzione ammessa solo citando la fonte – testo raccolto a cura della redazione)
22 gennaio 2020