(LUCA MONTICELLI – lastampa.it) – ROMA. Il disegno di legge sull’autonomia differenziata è pronto, e questa settimana sarà sul tavolo del Consiglio dei ministri per il via libera preliminare. Il ministro leghista degli Affari regionali, Roberto Calderoli, prova lo scatto in avanti per superare i veti e le critiche a un progetto su cui puntano soprattutto Lombardia e Veneto, amministrate dai suoi colleghi di partito, Attilio Fontana e Luca Zaia. Il ddl «non spacca l’Italia», ribadiscono gli esponenti della Lega, ma i dubbi, pure nella maggioranza di centrodestra, restano. Calderoli annuncia di aver preparato un testo nuovo da portare all’esame di Palazzo Chigi: «Credo che tutte le contestazioni sollevate sulla vecchia bozza siano ampiamente superate. La cosa cruciale, per me che sono sempre stato il fautore dei costi e dei fabbisogni standard, è che in questo testo si supera il criterio della spesa storica: è una svolta epocale», dice intervistato dall’Unione Sarda.
Calderoli aggiunge che «i costi e fabbisogni non sono la stessa cosa. Abbiamo messo come presupposto del trasferimento di competenze alle Regioni la definizione non solo dei livelli essenziali delle prestazioni, ma anche dei costi e fabbisogni standard». Il cavallo di battaglia del Carroccio che intende cambiare la struttura della Repubblica con il regionalismo differenziato si scontra però con le diseguaglianze tra nord e sud, che potrebbero addirittura crescere a discapito dei cittadini del Mezzogiorno. Il ministro e vice premier Antonio Tajani promette un fondo di perequazione proprio per aiutare le Regioni svantaggiate, ma sta di fatto che la definizione dei Lep – i livelli essenziali delle prestazioni, che l’articolo 117 della Costituzione vuole vengano garantiti su tutto il territorio nazionale – ancora non c’è, e bisognerà aspettare mesi per ottenerla. I presidenti delle Regioni non hanno ancora visto questo nuovo testo e si augurano di essere coinvolti per evitare, dicono, che sia «l’Autonomia fatta in autonomia».
Durissima la reazione del Terzo polo, che la settimana scorsa nell’ambito del confronto sulle riforme era stata definita «un’opposizione dialogante» dalla ministra Elisabetta Casellati. Va all’attacco Mara Carfagna: «Senza finanziare i Lep, l’autonomia di Calderoli rischia di consegnare ai nostri figli un’Italia estremamente divisa, soprattutto in settori così vitali per il nostro Paese, come istruzione e sanità. Un’eventualità che ostacoleremo in ogni modo possibile».
Intanto, la Svimez – l’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno – con uno studio che rifà la contabilità nazionale, ribalta la retorica di molti politici e commentatori del nord secondo i quali la spesa storica favorisce il sud. Nel rapporto Svimez emerge come la mano pubblica sia molto più forte nelle Regioni settentrionali. I dati utilizzati sono quelli dei “conti pubblici territoriali” dell’Agenzia della coesione, che sono ritenuti dall’associazione meridionalista più completi di quelli della Ragioneria perché considerano anche il “sistema pubblico allargato”, che include, oltre alla Pubblica amministrazione, il settore delle partecipate locali. «Le Regioni del Mezzogiorno presentano un valore di spesa media pro capite, al netto degli interessi, inferiore di circa 4.000 euro per abitante se consideriamo il settore pubblico allargato, e di circa 2.700 euro se ci riferiamo alla sola Pa», si legge nello studio. Inoltre, emerge che tra il 2007 e il 2018 la dinamica della spesa ha registrato una crescita cumulata di oltre il 30% superiore al centro-nord rispetto al Mezzogiorno.