Un uomo solo contro tutti. Sembra essere questo il destino di Tito Boeri. Non che il presidente dell’Inps non ci abbia messo del suo, anzi. L’economista della Bocconi, messo due anni e mezzo fa da Matteo Renzi al vertice dell’istituto che gestisce previdenza e assistenza si è distinto per aprire un fronte dopo l’altro. Dentro e fuori dall’ente. Dentro con una riforma senza precedenti (tutti i dirigenti sono stati avvicendati) che lo ha portato allo scontro con l’ex direttore generale, Massimo Cioffi, che lui stesso aveva scelto e con il Civ, il consiglio di indirizzo e vigilanza formato dai rappresentanti dei sindacati e delle associazioni imprenditoriali. Fuori, con una serie di esternazioni che lo hanno contrapposto, di volta in volta, al ministro del Lavoro, al governo intero, al Pd, al centrodestra e di nuovo alle parti sociali. Tanto che si è ormai formato uno schieramento trasversale in Parlamento e fuori che preme per una riforma della governance che ridimensioni il super presidente.
Anche per Boeri serve la riforma. Ma per snellire il Civ, perché ogni ipotesi di ritorno a forme di «cogestione dell’Inps sarebbe dannosa». Sono talmente frequenti i dissidi tra il presidente, i politici e i sindacalisti che Boeri sembra sempre che stia lì lì per andarsene sbattendo la porta. In realtà, presentando alla Camera il rapporto annuale dell’Inps lui ha chiarito, davanti al ministro Giuliano Poletti, che ha ancora tante cose da fare nei due anni e mezzo che gli restano. Chi ce l’ha con lui sospetta che Boeri più che le dimissioni cerchi la rottura. Altri che tutto questo movimentismo quasi fosse un ministro del Lavoro ombra sia per preparasi un futuro da ministro a tutti gli effetti. Più semplicemente, infine, potrebbe trattarsi solo della conseguenza del carattere schietto di una persona che rivendica le sue posizioni dall’alto del suo curriculum. Bocconiano stimato a livello internazionale, Boeri non ha del resto il problema di cosa fare una volta uscito dall’Inps.
Le polemiche di ieri sugli immigrati regolari che sarebbero una risorsa («valgono un punto di Pil in contributi») per far quadrare i conti del welfare, sono solo le ultime di una lunga serie. Gli sono valse l’attacco del leader della Lega, Matteo Salvini («Boeri vive su Marte») e le critiche di Forza Italia, con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, secondo il quale troppi migranti ostacolano l’occupazione dei giovani italiani. Plauso invece da sinistra, con la presidente della Camera, Laura Boldrini, che invita tutti ad ascoltare Boeri. Il giorno prima il caso era scoppiato sulle pensioni che l’Inps paga agli anziani residenti all’estero. Boeri aveva criticato, in particolare, le prestazioni assistenziali aggiuntive che spesso vengono percepite dai titolari di queste pensioni e che, secondo l’economista, rappresentano un paradosso perché sostengono italiani all’estero che dovrebbero essere assistiti dai Paesi di residenza. Qui ad infuriarsi è stata anche la sinistra, a difesa dei «diritti conquistati». Nessuna risposta invece dal governo, tirato in ballo da Boeri, sempre ieri, sui bonus natalità, definiti inefficaci perché «estemporanei». Infine, restano sullo sfondo, ma ogni tanto riemergono, le polemiche su vitalizi e pensioni d’oro, che Boeri vorrebbe ricalcolare col contributivo per trovare risorse per i giovani. Il professore ancora ci spera. Ma Poletti, che ha convocato Cgil, Cisl e Uil per un incontro il 27 luglio sulle pensioni dei giovani, segue ipotesi del tutto diverse.
Enrico Marro – Il Corriere della Sera – 21 luglio 2017