Tesi di laurea appena discussa e il salto in corsia. Un salto nel buio, per i diecimila neomedici. «A che prezzo dovremmo farlo?», chiede in chat un fresco laureato siciliano in Medicina e Chirurgia, lanciato dal Decreto Cura Italia sul fronte dell’emergenza da coronavirus. È un abilitato alla professione — per Dpcm — non esattamente entusiasta. «Sì, ora siamo medici, ma al prezzo di andarci ad ammalare senza dispositivi di protezione individuale», scrive ai colleghi e coetanei. «Ci chiamano per 40 euro lordi l’ora, per l’emergenza, poi ci lasceranno in mezzo alla strada perché siamo tutti dentro l’imbuto formativo delle specializzazioni ». Il neodottore abilitato è uno dei 4.800 che, per ora, non ha passato il test per entrare nel lungo percorso della Specialità. È un medico, non ancora un medico specializzato. E ha paura. Del virus e della precarietà che prenderà il posto del virus quando questo sarà battuto.
Nella stessa chat un collega ribadisce: «Con quale competenza vado in corsia da neoabilitato? Per colmare i buchi che loro hanno creato». Loro, la classe politica, i ministri della Sanità, i vincoli europei che hanno suggerito i tagli al personale. «Per me è una follia, neanche gli specializzati ci vanno». Nelle zone rosse, intende, sul fronte Covid che ha già reso positivi 2.500 sanitari e lasciato sul campo anestesiste, medici di famiglia, esimi ricercatori d’Alzheimer. Ancora lo scambio in chat: «Improvvisamente noi siamo indispensabili e appena finisce il caos torniamo con il culo a terra perché nella Sanità non ci sono posti. Per andare sul coronavirus dovremo pagarci un’assicurazione che costa più di quanto guadagneremmo. E per che cosa?». Per che cosa, si chiede.
Hanno ventiquattro, venticinque, ventisei anni e di fronte alla possibilità di entrare nel vivo di una professione così pratica, dopo sei anni di studi così teorici, di alto livello ma troppo teorici, vedono i timori non le opportunità. «Con questo decreto stanno mandando un medico neoabilitato allo sbando, gli chiedono di gestire situazioni per cui non è preparato ». Questo lo dice a tutti, non solo ai colleghi in chat, Federico Lavagno, 26 anni, laureato lo scorso ottobre all’Università di Torino, candidato a una specializzazione chirurgica in estate. Forse otorinolaringoiatria. È stato rappresentante degli studenti, ha un aplomb sindacale e spiega: «Quei quaranta euro lordi l’ora sono esattamente l’offerta avanzata dalla Regione Piemonte per reclutare medici in questi giorni». Ha pubblicato un bando straordinario, l’ente, e il neodottor Lavagno probabilmente non vi parteciperà: «Certo che aver cancellato il quizzone finale per ottenere l’abilitazione è una cosa positiva, ma oggi c’è una tale carenza di specialisti in corsia che rischiamo di andare a fare cose che non conosciamo. Per essere utili in questo periodo affannato e crescerepotremmo affiancare i medici esperti nel pre-triage, quello dedicato a chi ha sintomi da coronavirus, potremmo gestire pazienti in Medicina generale, ma la situazione è così deteriorata, anche nel mio Piemonte, che ci affideranno compiti decisivi perché non c’è nessun altro. Ci lasceranno soli, in prima linea».
È possibile che molti, come il neodottor Lavagno, rinunceranno ai 2.500 euro netti il mese (è lo sviluppo delle 40 euro orarie per giornate senza straordinario pagato) per mancanza di sicurezza e certezze economiche. Sono 5.200 i neolaureati che non dovranno affrontare il quiz il prossimo 7 aprile: sono già medici dopo la laurea. In tutto sono diecimila coloro che entreranno subito nel servizio sanitario nazionale. Provengono da quarantadue atenei del Paese e a loro non sono bastate le parole del ministro dell’Università Gaetano Manfredi. «Questi diecimila neolaureati», ha detto Manfredi a Repubblica, «potranno essere impiegati subito nei servizi territoriali, nelle sostituzioni della Medicina generale, nelle case di riposo. Libereranno diecimila medici che, loro sì, saranno trasferiti nei reparti di corsa». Ieri il sindacato dei medici — Anaao Assomed — ha commentato: «Il ministro immagina automatismi occupazionali con migliaia di medici di Medicina generale liberati per dirigersi, al ritmo della fanfara dei bersaglieri, verso il pronto soccorso ». I giovani medici per decreto temono, invece, che al ritmo della fanfara andranno loro, direttamente, in Pronto soccorso, in Epidemiologia. «Ad oggi non abbiamo idea di quale possa essere l’utilizzo di questi neoabilitati », dice Claudia Marotta, presidente del Segretariato italiano giovani medici. Lei è cinque anni avanti, avendone ventinove, e vuole tutelare le matricole della corsia: «Sono già usciti bandi di arruolamento della Lombardia che abbiamo respinto per l’inadeguatezza dei giovani colleghi a cui si rivolgevano. Servono specialisti, mandare medici allo sbaraglio non protegge la salute della popolazione italiana».
Hanno 24-25 anni e vorrebbero essere guidati nella pratica.
Repubblica